22.6.12

Della lingua sarda (di Gian Luigi Beccaria)

Un lettore sardo, Adriano Sassu di Cagliari, mi chiede perché mai la loro lingua è più arcaica dell'italiano, del francese, delle altre insomma che derivano dal latino.
Direi che dipende dall'isolamento. L'«area isolata» conserva sempre i tratti più arcaici, l'isolamento fa evolvere di meno la lingua, tagliata fuori dai sommovimenti e dalle spinte che giungono dall'esterno. Area «isolata» è stata per secoli la Sardegna, un territorio vissuto separato dalle correnti lessicali che hanno occupato le aree del continente.
Tra i tratti più arcaici ricordo rapidamente che «frattanto» in sardo si dice interi, lat. interim, e «casa» si dice domu, come il lat. domus; tra magnus e grandis il sardo ha scelto la prima forma (logudorese mannu; i sardi indicano con terramanna il continente italiano, la «terra grande»), in sassarese «porta» è gianua, nel sardo centrale e nel logudorese ianua, in Gallura janna, ghjanna, lat. ianua, e il «capretto» si dice edu, lat. haedus, «cavalla» ebba, lat. equa, il log. chito «subito» è il lat. cito, ischire «sapere» il lat. scire.
Altro carattere arcaico evidente, che rimanda al latino, è la conservazione della -s. Oltre che nel plurale (lupos, muros, feminas), in sardo la -s è conservata nella seconda persona del verbo (cantas «tu canti»; palesemente latino anche cantat «egli canta »). Un caso singolarissimo di conservativismo fonetico (in logudorese e campidanese) è la -s nei neutri singolari della terza declinazione latina (tempus «tempo»). Anche nella pronuncia il sardo mantiene quella più arcaica. Nel logudorese e nuorese (così come nell'antico campidanese) la «c» latina conserva la sua pronuncia: per esempio kentu «cento», kimbe «cinque», nuke «noce».
Tra i tanti tratti arcaici del sardo, posso ricordare quello che era il nome popolare del mese di giugno, a Nuoro lámpadas, in Gallura lámpada. In testi cristiani dei primi secoli dell'Africa settentrionale si parla di feste per il solstizio d'estate, con accensione di fuochi: prima erano accesi in onore di Cerere, poi di san Giovanni, giorno chiamato appunto dies lampadarum, «giorno dei falò», che in Sardegna è passato poi a indicare tutto il mese di giugno.

Tuttolibri, sabato 3 giugno 2006

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