22.6.12

Le città gramsciane di Giuseppe Prestipino

Sul “manifesto” Guido Liguori presenta l’ultimo libro di un grande siciliano, Giuseppe Prestipino. Oltre a riassumere le direzioni di lavoro di una incessante ricerca filosofico-politica Liguori individua in Prestipino un esempio importante per chi non voglia mollare, per chi voglia guardare avanti senza tradire la propria storia. (S.L.L.)
Giuseppe Prestpino
Ha un titolo accattivante, il più recente libro di Giuseppe Prestipino: Diario di viaggio nelle città gramsciane (Edizioni Punto Rosso, pp. 548, euro 30). Sia chiaro, le «città gramsciane» a cui allude il titolo non sono Torino o Mosca, Vienna o Roma, per non parlare di Ales, Ghilarza o Turi. Le «città» cui allude Prestipino - riprendendo liberamente una tipologia di scansione storica proposta da Sorel - sono «la cité èconomique, la cité sociale, la cité savante e la cité morale», ovvero «disposizioni (o predisposizioni ) connaturate a tutti gli esseri umani» che hanno esercitato, esercitano e potranno esercitare in ogni diversa epoca storica un primato sul complesso delle attività sociali.
Economia, socialità, cultura, eticità: fattori logico-storici che secondo Prestipino Gramsci rimette in movimento, nel momento in cui interpreta il materialismo storico in modo del tutto non «ortodosso». Prestipino intende proseguire (con Gramsci, oltre Gramsci) questa opera di interpretazione del mondo storico-sociale, facendosi guidare dalla necessità di leggere una realtà sempre in movimento. E a partire dalla convinzione che il mondo contemporaneo sia sempre più caratterizzato dall'emergere del fattore culturale, accanto a cui i comunisti (le novità dell'analisi non mutano ma rafforzano, in Prestipino, la necessità di dirsi comunisti) dovranno riuscire ad affiancare la cité morale per poter dire di essere in vista della gramsciana «società regolata».
La rilettura di Gramsci così operata da Prestipino - che richiama alcune ricche suggestioni di Raymond Williams e incrocia sia pure parzialmente gli esiti di alcuni interpreti di Gramsci come Giuseppe Cospito e Fabio Frosini - sembra negare fondatezza all'impostazione marxista classica evocata dalla celebre (e un po' abusata) metafora struttura-sovrastruttura. È un salto d'analisi che pone molti interrogativi, non perché vi siano «ortodossie» da difendere, ma perché la formazione economico-sociale contemporanea (richiamo la categoria cara a un autore al quale Prestipino resta, nonostante tutto, legato per ragioni biografico-affettive: Emilio Sereni) mi sembra che veda più che mai centrale il primato dell'economico, anche se sempre più in simbiosi con la cité savante. Ma tale simbiosi quale segno di fondo ha? Per l'autore la situazione attuale è soprattutto dominata dal «moderno conoscere» o «moderna razionalità realizzatrice», a cui opporre la conoscenza come bene comune. Ma ciò non può avvenire che partendo dalla consapevolezza dell'odierna «determinazione in prima istanza» della cité èconomique - pena cadere in una variante dell'analisi, pur per molti versi affascinante, di Severino. Prestipino intravede piuttosto una «città futura» non che abolisca il presente o il passato (si tratta di superare, non di abolire), ma che sposi il presente dominato dal moderno conoscere con l'emergere di finalità etiche condivise. In ogni caso, gramscianamente, la distinzione tra le diverse cité - ricorda l'autore - è «metodica, non organica», la visione della realtà resta dialettica. Una ipotetica futura società comunista segnerà l'inizio di un'epoca storica che (riprendendo Dussel) Prestipino denomina «transmoderna». In essa non dovrà più prevalere il primato della statualità, neanche dello Stato integrale nel significato gramsciano: occorrono idee e anche termini nuovi - afferma l'autore - proponendo un nuovo orizzonte «cosmopolitico» all'altezza dei tempi .
Non è quello di Prestipino - come si vede - tanto un libro su Gramsci, quanto di un libro che utilizza ampiamente Gramsci per una riflessione sulla storia della filosofia e sulla storia tout court, ma soprattutto sulla politica, ovvero sulla società attuale e sulle sue prospettive.
Le riflessioni sul mondo odierno (nei suoi aspetti economici, politici, sociali) si intrecciano con riflessioni sulla filosofia (da Leonardo a Vico a Hegel), sul marxismo (da Marx a Rosa Luxemburg, la più citata e, sembra di capire, la più amata, insieme a Gramsci), su alcuni dei maggiori intellettuali contemporanei (Garin, Luporini), sulla storia del comunismo (Stalin e lo stalinismo; la felice anomalia rappresentata dal Pci e poi la sua «morte»). Il tutto condito da ricordi autobiografici: poiché quella di Prestipino è una lunga e degna vita tutta spesa «da una parte della barricata», dalla giovinezza in Libia (dove maturò una precoce coscienza antifascista e poi comunista) alle dure battaglie del dopoguerra nella natia Sicilia e alla lunga militanza nel Pci, infine all'approdo nel Prc, dopo la sciagurata «svolta» occhettiana su cui l'autore torna - nella seconda parte del libro - indagandone le cause remote e prossime.
Filosofia, economia, politica, epistemologia, autobiografia. Non è facile riassumere i tanti motivi che nel libro si intersecano e si rincorrono, né semplificare la ricchezza e complessità di un'opera a tratti vulcanica. Quello che va segnalato è come quello dell'autore sia, nonostante l'età avanzata, un pensiero giovane perché mai nostalgico, mai rivolto al passato, sempre teso a «tradurre» le idee ed esperienze dei decenni trascorsi nelle forme nuove che devono assumere per avere efficacia oggi. L'importante è guardare avanti, senza però tradire la nostra storia e le nostre idee - ci dice Prestipino. E di un esempio come questo abbiamo davvero bisogno.

“il manifesto” 12.11.2011 

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