“LiberEtà”, la belle rivista mensile dello SPI-CGIL, tra agosto e settembre 2011, ha pubblicato un articolo su Lina Merlin ed una lettera di testimonianza che in qualche modo lo completa, il primo di Giuseppe Sircana, il secondo di Franca Cuonzo Travaglia Zanibon, che fu per la grande socialista veneta una sorta di figlia adottiva. La Merlin è ricordata soprattutto come promotrice e prima firmataria della che nel 1958 impose la chiusura delle case di tolleranza, provvedimento che rappresentò una conquista di civiltà e una svolta nella storia del costume nazionale e che da solo giustificherebbe un più continuo riferimento alla sua personalità e alle sue lotte, per esempio da parte delle femministe. Ma Lina Merlin non fu solo punta di lancia della storica battaglia per l’abolizione delle “case intollerabili” di asservimento e schiavizzazione, ma protagonista della lotta antifascista e di altre battaglie di emancipazione e di liberazione socialiste e femministe. “Posto” qui i due testi come utile pro-memoria. (S.L.L.)
Lina Merlin |
“Senza distinzione di sesso”
Lina (diminutivo di Angelina) nasce a Pozzonovo, in provincia di Padova, il 15 ottobre 1887. Maestra elementare, nel 1919 si iscrive al partito socialista e si impegna nella battaglia per i diritti delle donne. Collaboratrice assidua della stampa di partito, nel marzo 1922 dedica un articolo al problema della prostituzione. «È il difettoso sistema economico-sociale a creare “la necessità” della prostituzione – scrive sull’Eco dei lavoratori –. Un sistema che pone la donna in uno stato d’inferiorità sia nella casa sia nel lavoro. Perché questo stato di inferiorità cessi – è l’esortazione della Merlin – bisogna che nella donna si risvegli la coscienza di chi deve compiere una duplice missione sociale: di lavoratrice e di madre».
Nel 1926, per essersi rifiutata di giurare fedeltà al regime fascista, viene allontanata dall’insegnamento e poi condannata a cinque anni di confino in Sardegna. Nel 1930 si trasferisce a Milano, dove si guadagna da vivere impartendo lezioni private di francese. Conosce Dante Gallani, un suo conterraneo, medico ed ex deputato socialista. Si sposano nel 1933, ma dopo appena tre anni Lina resta vedova. Si getta nella lotta antifascista e rischia molto ospitando nella propria abitazione diversi incontri clandestini di dirigenti socialisti come Sandro Pertini, Lelio Basso e Rodolfo Morandi.
Deputata alla costituente Lina Merlin partecipa alla Resistenza, alla fondazione dei gruppi di difesa della donna e dell’Unione donne italiane, di cui sarà presidente. Eletta all’Assemblea costituente, fa parte della commissione dei settantacinque, incaricata di redigere la bozza della Costituzione repubblicana. Nella relazione alla sottocommissione sui diritti e doveri economico-sociali, la Merlin afferma che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico al fine di assicurare a tutti i cittadini la possibilità di crearsi una famiglia, tutelare la piena libertà della donna di dedicarsi a ogni tipo di lavoro e adempiere alla funzione sociale della maternità. Si batte anche perché, in attesa della riforma del codice civile, la Costituzione sancisca «l’equiparazione dei diritti a ogni effetto delle due arbitrarie categorie dei cosiddetti figli legittimi e naturali». È infine sua la proposta d’inserire nel testo dell’articolo 3 della Costituzione, che afferma la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la locuzione «senza distinzione di sesso».
Il 18 aprile 1948 Lina Merlin viene eletta al Senato e qualche mese dopo presenta un disegno di legge per la soppressione delle cosiddette “case chiuse”. Nonostante il favore di un vasto schieramento politico – soltanto la destra neofascista e monarchica è apertamente contraria – l’iter parlamentare si rivela lungo e tormentato. Il dibattito fa emergere arretratezze culturali, ipocrisie e falsi moralismi: nelle aule parlamentari e sulla stampa la senatrice socialista è fatta oggetto di attacchi ingiuriosi e di pesanti sarcasmi. Non è che l’anticipo dell’accoglienza che viene riservata alla legge, dopo la sua definitiva approvazione il 20 febbraio 1958 e l’entrata in vigore alla mezzanotte del successivo 20 settembre. Per anni, non solo nelle chiacchiere da bar, ma anche negli interventi di autorità istituzionali si continua a considerare la legge Merlin fonte di ogni male, a cominciare dal dilagare della prostituzione sulle strade e se ne invoca l’abolizione.
Prima al Senato e poi dal 1958 alla Camera, la firma di Lina Merlin compare in calce ai disegni di legge che si propongono l’ampliamento dei diritti civili e l’affermazione della dignità della donna. È il caso dell’abolizione dai documenti anagrafici dell’odiosa dicitura “figlio di Nn” e del divieto di licenziamento delle lavoratrici che contraggono matrimonio. Forte sarà il suo impegno a favore delle popolazioni del Polesine colpite dalla disastrosa alluvione del 1951 e a sostegno delle lotte bracciantili. Autonomista convinta, la Merlin vive con disagio la subordinazione del Psi alla politica comunista e mal sopporta la stretta autoritaria impressa da Morandi: «La disciplina è necessaria ma l’incatenamento del pensiero annienta un partito», dice. Nell’ottobre 1961 i crescenti dissidi con i vertici nazionali e locali la inducono ad abbandonare il partito nel quale aveva militato per quarant’anni. A Pietro Nenni che la invita a ripensarci risponde: «Continuerò a operare da socialista in Parlamento e fuori». Nel 1963 al termine della legislatura, a 76 anni, abbandona il Parlamento e la politica attiva. Trascorre gli ultimi anni in una casa di riposo di Padova, dove muore il 16 agosto 1979.
Giuseppe Sircana
Pietro Nenni, Lelio Basso e Lina Merlin al XXVI Congresso del Psi |
Lina Merlin è stata davvero una madre della Repubblica
Con molto piacere ho ricevuto il numero di LiberEtà con l'articolo che ricorda mia zia Lina Merlin. Ho assai gradito il titolo "Una madre della Repubblica" perché il sogno di ogni donna è quello di saper donare la vita. Dopo la morte di mia madre, quand'ero ancora molto piccola, andai a vivere con Mialina il mese prima che le morì il marito, l'on. Dante Gallarli. Abbiamo così unito le nostre solitudini facendoci del bene a vicenda. Lei ricevendo in dono una specie di maternità da una cugina (la mia mamma), io vivendo vicino a una persona straordinaria che passava molto tempo in prigione per le sue idee, ma che attendevo sempre con amore, approfittando di un appartamento che era più una biblioteca che una semplice abitazione. Eravamo come una piccola famiglia. Dovemmo fuggire da Milano e scappare a Parigi, dove ci avevano preceduto tanti altri socialisti tra cui Nenni, nell'attesa di ritornare nella nostra cara Italia senza che la polizia si accorgesse dei tanti viaggi. Per ciò mi faccia grazia di questa lettera con cui le voglio fare i complimenti per la rivista ed esternarle la mia riconoscenza per avere ricordato Lina Merlin che fu tanto bistrattata in vita da quel reparto di uomini che non avendo letto neppure il testo della legge che fece scalpore, si sentivano depauperati delle possibilità "eroiche" della loro virilità. Solo dopo morta mia zia ha avuto l'onore che alcuni studiosi leggessero almeno i titoli delle sue leggi e mi compiaccio di avere tra le mani LiberEtà, dove si respira un'aria di libertà. In un libro a me dedicato zia Mialina scriveva: «Continuate a credere nei vostri sogni di libertà, anche quando i colori della luce si spengono».
Con stima e riconoscenza.
Franca Cuonzo Travaglia Zanibon
Grazie
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