28.7.12

Vescovo laico? L’Autobiografia di Monsignor Bettazzi (di Giacomo Galeazzi)

Dopo il Concilio arrivò a Ivrea «guidando una Seicento, fumando il sigaro e dando del ''tu'' a tutti». Lo chiamavano il «vescovo rosso» per il suo impegno a favore dei lavoratori (non solo quelli dell'Olivetti) e per la sua disponibilità al dialogo con la sinistra. Luigi Bettazzi, però, preferisce l'ossimoro «vescovo laico» al punto da sceglierlo come sottotitolo delle sue memorie (In dialogo con i lontani. Memorie e riflessioni di un vescovo un po' laico), nelle librerie da domani per i tipi delle edizioni Aliberti (210 pag., 17 euro).
Da mezzo secolo Bettazzi è di casa nella «terra infidelium», lo spazio minato dove la Chiesa dialoga o si scontra coi non credenti. Un «cammino sul filo» (dal «compromesso storico» ai Pacs) che Oltretevere ha fatto alzare sopracciglia illustri. Del resto al Concilio Vaticano II fu proprio Bettazzi, «instradato da Dossetti, Lercaro, Suenens e Alberigo», a sfidare i «conservatori» attaccando «la centralizzazione della Chiesa provocata dal primato e dall'infallibilità del Papa quando parla ''ex cathedra''». Ora che non ha più incarichi in Cei e non presiede più «Pax Christi», l'ottantacinquenne «vescovo laico» racconta ciò che a lungo ha taciuto, come il ruolo nel caso Moro «stoppato» dalla Santa Sede.
«Durante il sequestro mi cercò un avvocato socialista emissario di Craxi per trattare con i brigatisti - scrive Bettazzi -. Consultai i miei superiori, che me lo vietarono. L'avvocato mi ricontattò per farmi incontrare Curcio nel carcere di Torino assieme a un piccolo industriale torinese, che però all'ultimo cancello' l'appuntamento». Pochi giorni dopo, «mentre ero a Camaldoli, mi telefonò padre Del Piaz, molto vicino a padre Turoldo, suggerendo che un vescovo (Ablondi di Livorno o Riva ausiliare di Roma) si offrisse come ostaggio al posto di Moro e io ottenni l'assenso di entrambi». Prima di rendere pubblico il possibile scambio, «purtroppo il mio ossequio alle autorità superiori mi portò a chiedere il loro assenso». Ma il ministro vaticano degli Affari generali, il cardinale Giuseppe Caprio, impedì la trattativa. «Mi disse: "Non vede che stiamo andando in braccio al comunismo? Il Papa ha già fatto fin troppo a scrivere alle Brigate Rosse''. Paolo VI, infatti, aveva appena chiesto alle Br la liberazione "senza condizioni", come gli avevano fatto aggiungere all'ultimo momento. Io replicai: ''Ma c'e' di mezzo la vita di un uomo''. La risposta mi agghiacciò perché era quella di Caifa in sinedrio nei confronti di Gesu': "Meglio che muoia un uomo solo, piuttosto che tutta la nazione perisca". Sospirai: "Allora, facciamo come se non fossi venuto". E mi fu ingiunto: ''No, lei poteva non venire, ma ora che è venuto le proibiamo di agire"»…
E non risparmia strali alle gerarchie così grate a Mussolini per la Conciliazione da chiudere gli occhi di fronte alle aberrazioni della dittatura, alla Dc, ai teocon e teodem. «Era normale essere fascisti, negli ambienti ecclesiastici si deridevano gli eccessi del regime ma non si dimenticava che i Patti Lateranensi avevano offerto alla Chiesa privilegi e facilitazioni finanziarie», spiega Bettazzi.
Folgoranti i ritratti dei protagonisti «visti da vicino», come quello del sindaco democristiano di Firenze, Giorgio La Pira che («contestato per la troppa attenzione ai poveri dai suoi compagni di partito, interessati solo ai propri interessi e alla tranquillità della coscienza») rispondeva serafico: «Perché preoccuparsi? Gesù è risorto, la Madonna è assunta in cielo e tra cent'anni saremo tutti in paradiso»…
Bettazzi riconosce che «la Chiesa a lungo ha avversato e scomunicato le democrazie», non così «l'anticristiana appartenenza a mafia, camorra, organizzazioni illegali e criminose». Fino al «controsenso della «scomunica automatica per i massoni», senza che accada lo stesso per «gli affiliati a clan in cui si sopprimono i nemici»…

“La Stampa”, 14-01-2009

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