18.8.12

14 luglio 1948. L'attentato a Togliatti.

Il 14 luglio 1948, alle 11 e mezza, uscendo dalla Camera dei Deputati insieme a Nilde Jotti, il segretario del Pci Palmiro Togliatti fu vittima di un attentato. Uno studente fuoricorso venticinquenne, tal Antonio Pallante, originario di Randazzo in Sicilia, sparò con una pistola calibro 38, pare in cattive condizioni, quattro colpi da una distanza ravvicinata. Tre colpirono Togliatti.
Ne nacquero subito, in molte città italiane, dei moti popolari, in massima parte spontanei, che nelle ore successive all’attentato registrarono già dei morti, quasi tutti tra i manifestanti e diversi arresti.
Il ministro degli interni Mario Scelba aveva dato immediatamente l’ordine d’impedire le manifestazioni, ma la linea dura non placava certo gli animi. Lo svolgersi degli eventi autorizzava perfino l’interpretazione, allora circolante, di una trappola, di un attentato commissionato per spingere il Pci ai disordini, al fine di metterlo fuori legge, anche se il Pallante – allora e sempre – dichiarò di aver agito per una scelta esclusivamente personale, per amore della “patria” e del “tricolore”, messi in pericolo dall’agente del Cominform Togliatti, da lui ritenuto al servizio di una potenza straniera.
Di certo non era senza fondamento l’accusa rivolta da “l’Unità”, dall’“Avanti!” e dai socialcomunisti alla stampa borghese e governativa per aver creato un clima d’odio.
Per esempio, il giorno prima dell’attentato, su “L’Umanità”, quotidiano dei socialisti “saragattiani” (credo che, a quel tempo, il partito si chiamasse Psli), il direttore Carlo Andreoni, figura ambigua con trascorsi da estremista di sinistra, approdato al filo americanismo, aveva scritto su : “…prima che i comunisti possano consumare per intiero il loro tradimento, prima che armate straniere possano giungere sul nostro suolo per conferire loro il miserabile potere di quisling al quale aspirano, il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l’energia, la decisione sufficiente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non solo metaforicamente”.
Pajetta, con l’irruenza che lo caratterizzava, in Parlamento, ne chiese conto e ragione a Saragat: “Lei, onorevole Saragat, anzi tu, traditore del socialismo, tu traditore, hai affidato il giornale di un partito che si chiama socialista a un delinquente professionale che risponde al nome di Carlo Meoni”. Nel dibattito infuocato i comunisti chiederanno con atto formalizzato, una sorta di “mozione di sfiducia”, le dimissioni del governo, lanciando a Scelba le accuse più pesanti non solo per i duri interventi repressivi in atto nelle piazze, ma anche per la mancata protezione del leader comunista.
La Cgil intanto, mentre Di Vittorio rientrava dall’America, proclamava per l’indomani lo sciopero generale di 48 ore, esentando per mezza giornata i panettieri e i negozi di alimentari e per i lavori indispensabili salariati agricoli e mezzadri. Fu un occasione che i sindacalisti cattolici come Pastore e Rapelli, socialdemocratici e repubblicani come Enrico Parri e Canini, colsero a volo per accusare i comunisti di politicizzare il sindacato e per avviare nella Cgil le scissioni che daranno vita alla Cisl e alla Uil. Nella direzione del Pci i dirigenti più autorevoli si mostrarono indecisi sul da farsi: i più autorevoli, Longo, Secchia e Terracini, preferivano una posizione interlocutoria che non frenasse la protesta e il riarmo in atto dei partigiani, in attesa di capire le intenzioni del governo. Il governo e peculiarmente De Gasperi difenderanno Scelba, ma manderanno ai comunisti messaggi rassicuranti sull’intenzione di rimanere nell’ambito costituzionale. Com’è noto la buona riuscita dell’intervento del chirurgo Valdoni e i suggerimenti dello stesso Togliatti contribuiranno a frenare la protesta che comunque determinerà altri morti, in gran maggioranza tra i manifestanti, feriti a centinaia, fermi e arresti. Pare che sia leggenda o almeno esagerazione, invece, il ruolo decisivo attribuito alle vittorie di Bartali al Tour nel ricreare un clima di concordia nazionale. Ho attinto queste notizie dal libro, pubblicato nel 1978 da Massimo Caprara che era segretario personale di Togliatti al momento dell’attentato, era stato deputato comunista e aveva nel 1969 partecipato alla nascita del “manifesto”. Caprara, al tempo del libro (L’attentato a Togliatti, Marsilio), molto vivace e pieno di rare curiosità, si poteva ancora considerare uomo di sinistra, ma aveva già imboccato un percorso di allontanamento dal suo passato comunista che lo avrebbe condotto a morire, negli anni Duemila, mezzo democristiano, lui che in un accurato volume aveva fatto il punto sugli scandali e le ruberie democristiane. Dal volume recupero qui, a mo’ di appendice, un passaggio sulla riunione del governo con particolari sorprendenti: l’atteggiamento di Moro, per esempio, o le rivelazioni degasperiane sulla scelta di Scelba agli Interni.
Scelba e De Gasperi

Appendice
E De Gasperi disse: “Scelba? Lo ha voluto Togliatti!”.
De Gasperi, dopo aver convocato un consiglio straordinario dei ministri a Montecitorio (il Viminale è troppo esposto?) ascolta senza interrompere il ministro degli esteri, Carlo Sforza, che allude significativamente all'esempio britannico: un ministro si dimette quando il dicastero da lui diretto incappa in un avvenimento non gradito, né provocato, né addebitabile come il presente. Il suo sottosegretario, Aldo Moro, consente con questa interpretazione, Sforza non l'afferma né la smentisce, lasciando però credere all'esistenza di una convergente opinione all'interno della DC che stenta a venire alla luce.
L'intervento di Scelba è un elenco burocratico di motivi a difesa. Enumera le misure adottate da tempo per proteggere Togliatti; ricorda il rifiuto, o meglio, l’elusione del leader comunista a farsi scortare («come faccio sempre io» — lo interrompe De Gasperi —, «Togliatti ha detto di volersi affidare all'atmosfera di libertà e al senso di rispetto della nazione italiana»); insinua che la vita privata del leader del PCI coinvolta in una vicenda sentimentale mantenuta in ombra perché non legittimata dal partito, crea problemi di sicurezza perché non s'avverte sempre con certezza presso quale abitazione piazzare la vigilanza, se a quella ufficiale e coniugale di via Pavia o altrove. Il presidente De Gasperi inclina a respingere ogni responsabilità che ripiombi su Scelba: non ha simpatia verso di lui ma neppure astio; soprattutto, nella difesa dell'uomo politico ex-sturziano, e perciò conservatore rispetto ai tempi nuovi, concentra l'occasione per far valere la forza che gli deriva dalla vittoria elettorale, oltre il 48% dei suffragi espressi e 306 deputati su 574. Anzi, De Gasperi, estrae dalla memoria una carta a sorpresa.
Chi ha preferito Sceiba ad altri candidati al Viminale? Proprio Togliatti, assicura De Gasperi, centellinando l'indiscrezione. Nel gennaio del '47, quando erano in corso le trattative per il nuovo governo («il terzo della mia serie», sottolinea De Gasperi), proposi alla delegazione comunista composta da Togliatti, Negarville e Pajetta, tre nomi per il dicastero dell'interno: Salvatore Aldisio, Umberto Tupini, Mario Scelba, allora ministro delle poste. Aldisio venne scartato («è l'uomo della mafia», sostenne brutalmente il segretario del PCI); a Tupini venne addebitata la protezione accordata ai grandi speculatori edilizi Tudini e Talenti, pupille del «generone romano e dell'amministrazione capitolina» della quale appunto Tupini era stato a capo; di Scelba, Togliatti ricordò con favore la posizione nettamente repubblicana e una proposta inconsueta formulata durante una delle sedute difficili del consiglio dei ministri del giugno '46. «Mandiamo i carabinieri ad arrestare Umberto, re di maggio, se rifiuta di andarsene dopo l'esito del referendum», aveva proposto Scelba, e Togliatti, ricordandosi della peregrina ma animosa escogitazione, finì con l'accreditare l'incarico. Più che una convinzione, prevalse comunque in quel momento, nel Consiglio il sentimento di insicurezza che impone, almeno per ora, di non forzare. A conclusione, si decide di far sapere ai comunisti che il governo respinge ogni richiesta di dimissioni; solidarizza con Scelba; scarta ogni misura eccezionale e di rigore contro gli scioperanti; ingiunge moderazione ai prefetti; augura che la situazione torni al più presto normale e chiede, a questo fine, collaborazione sindacale e politica; assume che a nessuno torna opportuno, in questo frangente, cavalcare una tigre improbabile del disordine.

Massimo Caprara L’attentato a Togliatti, Marsilio, 1978 

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