18.8.12

Obama, Osama e il regime mediatico. Con un articolo di Maurizio Zuccari


Tra le promesse elettorali del primo mandato di Obama c’era la chiusura della prigione di Guantanamo. Tutto questo faceva pensare a una presidenza innovativa, più legalista, più scrupolosa nel rispetto del diritto internazionale, più favorevole alla giustizia dei tribunali che al lavoro sporco della CIA. E invece no. Guantanamo non è stata chiusa del tutto. E le operazioni sporche si sono, caso mai, moltiplicate. Bush, per esempio, volle che a Saddam Hussein gli irakeni suoi alleati imbastissero un simulacro di processo. A Gheddafi non è stato garantito neanche quello.
Ma l’episodio più eclatante mi pare sia rimasto quello dell’uccisione di Osam bin Laden. Doppiamente eclatante: da un lato per la grande quantità di storie e storielle diffuse intorno alla vicenda, dall’altro per la totale mancanza di trasparenza in cui si è svolta l’operazione. Tutto questo è potuto avvenire grazie ad un quasi totale allineamento dei grandi mezzi di comunicazione di massa alla versione ufficiale, alla sua vaghezza, alle sue incoerenze, ai suoi silenzi e alle sue suggestioni. Credo che sia questo uno dei segni più evidenti del “regime” in cui sempre più vive il mondo sotto il dominio dell’Occidente.
L’articolo che segue di Maurizio Zuccari irride agli attori che recitano male, ai bugiardi che le raccontano grosse. E li sceglie tra giornalisti e scrittori che propongono le loro favole incongrue sulla stampa italiana. La cosa tragica è che nessuno se ne rende più conto. (S.L.L.)

Vecchio Osama, due fischi ai commedianti
di Maurizio Zuccari
Nella luminaria di fole che imperversano sui mezzi di comunicazione di massa (definizione adattissima alla bisogna) a proposito dell'uccisione del nemico pubblico numero uno dell'Occidente - del mondo, per chi confonde questo con quello - alias Osama bin Laden, un paio meritano d'essere serbate a futura memoria del presente sconforto.
Non riguardano il tema generale di come si sia potuto chiappare e mettere fuori causa - giustiziare? Assassinare? Fate voi - il capo qaedista nella sua villetta di Abbottabad dopo anni di latitanza, né di come sia potuto sparire così, salma pei pesci, senza che sia divulgata una sola immagine, un solo fatto certo. Roba che fa appallottolare nel cestino della carta straccia qualunque foglio al più modesto lettore di freepress, spegnere il tiggì, persino alla vecchina di rientro col cane al guinzaglio dal parco, ma tant'è.
Nessuna perplessità sui mezzi di comunicazione di (per la) massa). No, piccole robe", due chicche appena.
La prima riguarda Tahar Ben Jelloun. Lo scrittore marocchino, sempre in prima riga nello spendere una parola buona per le cause politicamente corrette, contro i razzismi d'ogni colore e i nazismi d'ogni tempo, dalle colonne di Repubblica commentando l'immagine di «un uomo imbacuccato in una coperta, kefiah (sic) intesta, telecomando in mano», taglia corto: «Il nemico pubblico numero uno dell'America era di fatto solo un vecchio, nascosto in una stanza per nulla confortevole. Che la sua barba fosse bianca o nera, Bin Laden era un assassino. Nessuno piange la sua scomparsa. C'è invece un sollievo generale, anche se gli americani hanno agito come in un film di guerra». Più che film, guerra, ineccepibile. Ma se il vecchietto imbacuccato mostrato all'orbe era davvero il «male assoluto» finalmente estirpato dal mondo, va ricordato che aveva appena 54 anni. Pochi per guadagnarsi pure l'epiteto di vecchio, per di più da chi di anni ne ha 68".
L'altra riguarda l'inviato del Corsera da Washington, Guido Olimpio, che per sfatare la leggenda che vuole i corrispondenti chiusi nei grandi alberghi a smazzarsi le agenzie tira fuori la chicca che dai suoi quaderni, prontamente ribattezzati diari, il mostro chiedeva sangue. «Fate molti morti», diceva Osama ai suoi accoliti, scrive il giornalista, specificando pero che trattasi «di idee e non di veri progetti». Un po' come il «viagra naturale» trovato tra le medicine da camera del «vecchio», insomma. Una moscerìa, non come il proclama - ufficiale, altro che "diari segreti" - del generale Patton alla truppa di sbarco Usa in Sicilia nel '43, con l'invito a non fare prigionieri. Ma questa è facile da verificare, basta scartabellare nei discorsi e fare la conta dei fucilati dopo essersi arresi, come l'intera guarnigione dell'aeroporto di Ragusa, una settantina di disgraziati mandati a ramazzare pei campi. Altri tempi, stessi metodi spicci.
Ma, visto che siamo in Sicilia, viene in mente un racconto dell'ottimo Camilleri: La luna di carta. Dove il bravo commissario Montalbano si lagna perché la realtà che gli han fatto intravedere non è la luna vera, ma come quella di carta che gli agitava suo padre da bambino. Il mondo è rappresentazione, ammonisce Ferruccio Parazzoli nel suo ultimo tomo. Vero è, e a reggere la luna di carta non sono fili, ma catene mediatiche.
Ma, almeno, due fischi ai commedianti.

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