20.9.12

I proverbi. Citazioni senza autore (di Gian Luigi Beccaria)

Oggi che non si sente più come un tempo l'esigenza di imparare dagli anziani, capita di rado sentir ripetere proverbi: si ripetono come citazione, come cosa morta, inerte. Non fanno più parte delle 'parole in corso' quotidiane. Ma nelle generazioni andate erano un riferimento importante. Costituivano repertori di detti sintetici e spesso ironici su comportamenti, abitudini, o princìpi a cui i nostri vecchi davano un valore universale. Citazioni di un sapere collettivo, fatte di parole che, come indicava Jakobson, differiscono dagli altri tipi di citazioni in quanto non esiste alcun autore cui possano essere attribuite.
Erano considerati il deposito di una saggezza condivisa. Ed erano ingrediente consueto, quasi d'obbligo, per ogni conversazione 'assennata' (pensiamo a come facciano parte integrante de Ila parlata popolare ricalcata da Verga nei Malavoglia), un prontuario per dire la propria sulla vita, la gioventù, la vecchiaia, l'amore, le donne, la malattia, la salute, i comportamenti, le abitudini. A ogni momento dell'anno, a ogni stagione, mese, festività religiosa, a ogni evento meteorologico, riserbavano una previsione, un avvertimento pratico: «Seren fatto di notte non val tre pere cotte», «La nebbia lascia il tempo che trova», «Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame», «Il freddo di gennaio empie il granaio», «Febbraietto, corto e maledetto», «Aprile dolce dormire», «Giugno la falce in pugno». Toccavano da vicino gli ambiti della vita contadina, legata ai tempi lenti e ciclici dei lavori dei campi. Proponevano, con arguzia e icasticità, definizioni esemplari, alcune bellissime, tipo il sic. La statua è di marmaru e nun suda per qualificare la persona irremovibile, o Un c’è acqua chi lu vagna né suli chi l’asciuca per la persona indifferente; e per l’imperturbabile, per l’insensibile a Chioggia si sentenziava Le àncore sta sempre in acqua ma no le impare mai a nuàre, le ancore stanno sempre in acqua. Riferito agli sciocchi e agli ignoranti, nulla mi pare più azzaccato del chioggiotto Un can pòrtilo a Milan, pòrtilo a Mestre, un can a xe, un can a reste. Il tipo è largamente presente: calabr. Cònzola comu vue, sempre cucuzza è ‘girala come vuoi sempre zucca è’.

da Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi, Garzanti, 2006 

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