13.9.12

Il capitalismo è una religione (di Giorgio Agamben)

Da Ragusanews.com riprendo un brano dall’intervista a Giorgio Agamben curata da Peppe Savà e intitolata Amo Scicli e Guccione. (S.L.L.)

“Crisi” e “economia”  non sono oggi usati come  concetti, ma come parole d’ordine, che servono a imporre e a far accettare   delle misure e delle restrizioni che la gente non ha alcun motivo di accettare. “Crisi” significa oggi soltanto “devi obbedire!”. Credo che sia evidente per tutti che la cosiddetta “crisi”  dura ormai  da decenni e non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo  nel nostro tempo. Ed è un funzionamento che non ha nulla di razionale.
Per capire quel che sta succedendo, occorre prendere alla lettera l’idea di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità, una religione e la più feroce, implacabile e irrazionale religione che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua. Essa celebra un culto ininterrotto la cui liturgia è il lavoro e il cui oggetto è il denaro. Dio non è morto, è diventato Denaro.
La Banca – coi suoi grigi funzionari ed esperti - ha preso il posto della Chiesa e dei suoi preti e , governando il credito (persino il credito degli Stati, che hanno docilmente abdicato alla loro sovranità), manipola e gestisce la fede – la scarsa, incerta fiducia - che il nostro tempo ha ancora in se stesso. Del resto, che  il capitalismo sia oggi una religione, nulla lo mostra meglio del titolo di un  grande giornale nazionale qualche giorno fa: “salvare l’Euro a qualsiasi costo”. Già “salvare” è  un concetto religioso, ma che significa quell’ “a qualsiasi costo”?  Anche a prezzo di “sacrificare” delle vite umane? Solo in una prospettiva religiosa (o, meglio, pseudoreligiosa) si possono fare delle affermazioni così palesemente assurde e inumane.

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