Francisco Hajez, I Vespri siciliani (1846), Particolare
Sulla data del Vespro permangono (30 o 31 marzo 1282) permangono tesi diverse. La leggenda vuole che al crepuscolo di quella giornata, quale che fosse, alcuni dei soldati francesi ch’erano arrivati 16 anni prima al seguito di Carlo d’Angiò, appena divenuto re di Sicilia, infastidissero la moglie di un siciliano, suscitando le sue proteste. Un ufficiale, Bernard Desclot secondo il cronista Giovanni Villani, avrebbe replicato: “Merda, tacete!”. Sarebbe scoppiata dopo queste parole la rivolta, con l’uccisione dei soldati che avevano partecipato all’oltraggio. Subito dopo si sarebbe ribellata l’intera città, al suono delle campane. Il trionfo dei rivoltosi fu assai rapido, anche perché i francesi, secondo gli studi storici più recenti, erano solo poche centinaia.
L'insurrezione si estese poi rapidamente a tutta la Sicilia (a fianco dei francesi rimase solo il castello di Sperlinga, appoggiato dalla popolazione del paese, tanto che i loro discendenti conservarono nei secoli la fama di essere dei bastian contrari). Il 28 aprile la flotta angioina fu incendiata nella rada di Messina e la Sicilia fu libera.
Anche se all'origine dei moti c'era stata una rivolta popolare, i Vespri furono considerati già dai contemporanei, e poi anche da diversi storici, come il coronamento di una grande congiura, tesa a cacciare gli angioini dalla Sicilia: vi sarebbero entrati i fedeli degli Hohenstaufen, la famiglia di Federico II, il cui figlio Manfredi, sconfitto e ucciso dagli angioini a Benevento aveva maritato la figlia, Costanza, con Pietro D'Aragona, prima principe e poi re a Barcellona, rifugio di molti nobili siciliani ghibellini. Furono proprio “gli Aragonesi” che quattro mesi dopo la rivolta si impadronirono della Sicilia. Si dice che il Vespro avesse l’appoggio di Michele Paleologo, imperatore d'Oriente e si parla di un “Grande Vecchio” come suo tessitore: Giovanni da Procida, che aveva allora 72 anni, una volta medico di Federico II e all'epoca cancelliere del regno d'Aragona. Le cronache raccontano di suoi viaggi a Roma e Costantinopoli e di visite clandestine in Sicilia.
La tesi del “burattinaio”, corroborata da seri indizi, ma non da documenti, non convinse Michele Amari, figlio di un liberale imprigionato dai Borboni e lettore di Walter Scott, che pubblicò a 34 anni, nel 1840, un libro intitolato Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII. Il titolo incolore nascondeva un'esaltazione romantica della rivolta dei siciliani contro lo straniero, in nome dei princìpi di nazionalità e di libertà. Amari declassava le congiure a leggenda e attribuiva carattere popolare, non aristocratico, alla rivolta di Palermo. La ribellione sarebbe stata «repentina, uniforme, irresistibile, non tramata, decisa e fatta al girar di uno sguardo».
Leonardo Sciascia, pur guardando al mito dei Vespri senza simpatia, condivide la tesi della rivolta spontanea: “Di tutte le ragioni che porta Amari contro la congiura la più persuasiva resta per me come siciliano che conosce i siciliani. E cioè che nessuna cosa che è preparata, e che richieda l’accordo di più persone, può avere successo in Sicilia”.
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Gentile Lo Leggio
RispondiEliminami scusi se mi permetto di correggere il tiro su "titolo incolore" relativo al libro di Michele Amari. L'arabista, figura che ho studiato per una mia tesi sulla figlia,aveva intitolato la sua opera "La guerra del Vespro Siciliano" ma fu la censura borbonica che l'obbligò a cambiare in "Un periodo delle istorie siciliane del XIII secolo". Come dice Romeo (1960)la prima edizione, uscita il 31 maggio 1841 in mille copie, andò quasi tutta esaurita nell’arco di una settimana riscuotendo il giudizio unanime degli uomini illustri sia italiani che stranieri.Fu proprio a causa di questa sua prima opera che fu perseguitato dal governo borbonico e costretto all'esilio in Francia.
Cordialmente
Ivana Palomba