Da un vecchio ritaglio del "manifesto" riprendo in parte un articolo di Domenico Starnone su uno strano culto medievale e su un libro che lo racconta e tenta di spiegarlo. (S.L.L.)
C'era una volta nella diocesi di Lione, presso il villaggio delle monache chiamato Noville, un castello. Il castello era lì, sotto gli occhi dei contadini, un fondale della memoria, appena abbozzato, con una porta perché vi entrassero e ne uscissero il cavaliere di Villara, la sua sposa, una nutrice. Poi all'orecchio dei rustici arrivò un urlo e con l'urlo una storia dalle radici profonde. Nel castrum era entrato il serpente approfittando dell'assenza del cavaliere, della dama e della nutrice. Voleva uccidere il figlio del signore, inerme nella culla. Ma il cane levriero, Guinefort, rimasto a tutela del bambino, ammazzò il serpente chiazzandosi di sangue insieme alla culla e al pavimento.
Il sangue trasse in inganno i signori e la nutrice. Parve loro che il levriero avesse divorato il bambino. E il cavaliere, troppo avventato nel fare giustizia, uccise il cane con la spada. Non valse a nulla il suo pentimento, né che seppellisse il cane in un pozzo sotto un cumulo di pietre, né che intorno al sepolcro piantasse alberi.
Dio punì il martirio del levriero distruggendo il castello e facendo tutt'intorno il deserto. Ma i contadini che avevano visto e ascoltato ridiedero uno spazio e un tempo alla storia ritessendone il significato secondo la volontà divina. E riorganizzarono il luogo in funzione dell'infamia del nobile signore. Il levriero, martirizzato dal suo padrone sebbene avesse ucciso il serpente come un santo guerriero, divenne oggetto di culto col nome di san Guinefort. (Jean - Claude Schmitt, Il santo levriero, Einaudi, pagine 264, lire 15.000, 1982. La collana è quella delle «microstorie», diretta da Carlo Ginzburg). E a lui le donne cominciarono a portare i bambini deboli e malati, sotto la guida di una vecchia, custode del rituale necessario perché i demoni incubi responsabili dei corpi malati dei bambini ne restituissero i corpi sani.
Poi arrivò nella diocesi di Lione a metà del XIII secolo l'inquisitore Etienne de Bourbon. Predicò, ascoltò in confessione, inquisì e spezzò l'ordine costruito dai contadini intorno al santo levriero. Fece bruciare il bosco sacro insieme allo scheletro del cane, riesumato dal fondo dell'humus leggendario. Anzi fece di più fece di più. Da buon rappresentante e custode delle Scritture, trasformò in scrittura la parola orale dei contadini raggrumandola in un exemplum (breve racconto edificante), utile per predicare come il diavolo seduce e illude con falsi culti gli «illetterati».
Il cane Guinefort restò chiuso fino al 1877 nel trattato scritto, a metà del XIII secolo, dall'inquisitore domenicano sui sette doni dello spirito santo, senza che nessuno si accorgesse che stava lì a scodinzolare (guigner secondo l'etimologia popolare significa in francese antico «scodinzolare accennando»). Poi in quell'anno rivide la luce grazie allo storico Lecoy de la Marche. Ma le cose per il santo levriero si sono messe davvero bene solo quando, nel corso di una ricerca sulla letteratura degli exempla tra il XIII e il XV secolo Jean-Claude Schmitt si è imbattuto nel trattato di Etienne e si è accorto che l’inquisitore aveva registrato nella bocca dei contadini quanto bastava per avviare un nuova inquisizione del tipo di quelle prestigiose del suo maestro Jacques Le Goff…
I contadini, agli occhi dell'inquisitore, ne stanno facendo delle belle, un po' per colpa del diavolo, un po' per colpa di una vetula (una vecchietta, per ora soltanto sedotta dalle Illusioni diaboliche; poco dopo, sulla scorta di san Tommaso, quelle come lei saranno donne-streghe senza attenuanti) che induce le contadine all'invocazione dei demoni incubi e all'idolatria, affinché siano guariti i loro bambini.
Tuttavia la cultura del frate, non per niente appartenente a un ordine mendicante, vede ancora nei rustici dei semplici che vanno tutelati contro la seduzioni del diavolo, e non degli eretici da reprimere duramente. Perciò, pur decretando un bel falò purificatore e pur pretendendo un editto che confischi i beni di chiunque insista nell'adorazione di san Guinefort, è ancora ben lontano dal bruciare carne umana. Anche se ha colto in quel che avviene nella selva l'ombra dell'infanticidio e angosciose credenze.
Le donne infatti gli hanno raccontato che i bambini infermi portati a san Guinefort non sono i loro figli, ma i figli dei demoni incubi (fauni, li chiama Etienne). Il demone ha i trafugato il bambino sano e lo ha sostituito con il proprio, per il tormento della povera madre. Il rito perciò (con l'offerta del sale, le fasce distese sugli arbusti, il chiodo piantato in uno degli alberi cresciuti sulla tomba del cane, il bambino nudo passato nove volte tra due alberi, poi abbandonato nel bosco al fuoco di una candela e alla minaccia del lupo e infine immerso nove volte nell'acqua gelida della Chalaronne) ha la funzione di decolpevolizzare le madri schiacciate dal peso di un bambino gracile e malaticcio. Se infatti il bambino muore, vuol dire che la prova è fallita: gli incubi si sono tenuti il corpo sano. Se vive, vuol dire che gli incubi hanno ceduto grazie a san Guinefort e hanno restituito il bambino sano…
Ti ringrazio perché stavo, appunto,cercando il titolo del libro e nel tuo ho trovato molto di più!!!
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