7.10.12

Tu vipera gentile (Carlo Grande)

Dalla rubrica dedicata agli animali su “La Stampa” recupero, con un titolo mio, parte di un “pezzo” che un po’ giustamente sfata, un po’ piacevolmente divaga. (S.L.L.) 
Tante sono miti e fuggono volentieri
Chissà come saranno contente - loro che amano i luoghi caldi e asciutti - dopo le piogge dei giorni scorsi: sono le vipere, non tutte - anzi pochissime – aggressive come si dice. Alcune, come la Aspis, hanno indole mite e fuggono volentieri; quasi tutte, come la Vipera del Corno (più comune nel Veneto) reagiscono solo se minacciate. Accade a tante persone: il guaio è che la sindrome da accerchiamento (“We’re attacked constantly” recitava una litografia di Andy Warhol) è diffusa, tanti scappano o contrattaccano senza nessuno li minacci. Però, come scrive nel suo libro Renato Scagliola, collega di giornalismo e camminatore, gran facitore di coltelli e di racconti (si intitola La grappa alla vipera, editore Giancarlo Zedde), "di morti per il morso di una vipera non se ne ricorda più nessuno". Scagliola ricorda come veniva fatto il liquore - con il serpente non con il veleno – e le bottiglie che si vedevano nei bar fuori mano, in montagna; simboli di “virilità” sugli scaffali, metà ad uso dei bevitori metà per i "blagueur" davanti ai turisti e ai compagni di bevute…
Renato se ne sta in una cascina a Envie, guarda, pensa, parla con la gente e insegna lavori socialmente utili. La Grappa alla vipera e gli esseri dalle pupille verticali come i gatti e la testa triangolare, i serpenti che assillano certi escursionisti estivi - torneranno tutti con il bel sole di settembre - fanno quasi tenerezza. Ben altri intrugli ci fanno bere, respirare e ascoltare. Diceva bene Trilussa: “Appena che la vipera s'accorse/ d'esse vecchia e sdentata, cambiò vita./ S'era pentita? Forse”. Ma il veleno sparso, aggiunge, rimane. E’ la storia di chi si pente fuori tempo massimo, quando ormai non può rimediare alle carognate. Di chi, cantava De André, “dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio”. Si fa specialmente quando non possiamo più dare cattivo esempio...

“La Stampa" 4 settembre 2012

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