7.10.12

Il cammino quasi senza speranza (Macagno & Poletto)

Con un titolo diverso posto un articolo molto ben scritto, pieno di fatti e di nessi, da Amedeo Macagno e Lodovico Poletto, che immagino giovani e temo sottopagati. Ci documenta su una delle tante tragedie di questo mondo che i potenti della terra, dopo la fine dell’“impero del male”,  ci promettevano fiorente e pieno di opportunità. (S:L.L.) 
Un immagine della Dora di Bardonecchia
Clandestino senza nome
sui sentieri delle vacanze
I resti di un uomo
divorati dagli animali
in un bosco a un Km da Bardonecchia
Eccola lì avvolta dalle nubi grige e che minacciano pioggia la montagna che voleva scalare. In tuta e scarpette da ginnastica. E vista da qui, dalle sponde della Dora, appena fuori Bardonecchia, località Royères, soltanto a guardarla vengono i brividi tanto è dura e minacciosa. La Francia non è oltre il crinale. È lontana, lontanissima se vuoi raggiungerla a piedi. Ma chissà cosa sperava Lui.  

Una scarpa  
Lui è uno scheletro rosicchiato dagli animali, un ammasso di ossa appena coperto da qualche lembo di tuta da ginnastica. E una scarpa, una soltanto, nel piede che è rimasto. Lui, uomo, di età ancora indefinita, l’hanno trovato il 20 di agosto a metà crinale. Un cacciatore lo ha visto da lontano. E ha dato l’allarme. Chissà da quanti mesi giaceva lì. «Almeno un anno» dice qualcuno. Un anno senza che nessuno andasse a bussare a qualche porta reclamando la scomparsa di questo essere umano. Un anno o poco più. Il periodo in cui a Bardonecchia si affollavano i profughi in arrivo dal nord Africa, sconvolto dalla Primavera araba. Gente sbarcata a Lampedusa e che aveva risalito l’Italia in treno o con mezzi di fortuna. E che cercava un varco attraverso quelle montagne per andare in Francia. E poi magari ancora più su, in Inghilterra, in Belgio, in Olanda o in Svezia dove vivono i parenti. In Francia i gendarmi li bloccavano e li rispedivano oltre il confine: i documenti provvisori di là non li volevano neppure vedere. Ecco, Lui potrebbe essere uno di quei ragazzi che scappavano quando vedevano la polizia. Che s’infilavano nei boschi senza neanche immaginare cosa avrebbero dovuto affrontare.  

Uno di loro  
Ai piedi di questa montagna nessuno si stupisce che sia andata davvero così. Che Lui sia uno di quei ragazzi, anime in pena che per giorni hanno vagato nei paesi della valle. E tantomeno si stupiscono che sia scivolato su quelle rocce, e precipitato. L’autopsia è chiara: ha fratture ad una mano e allo sterno. Ha di certo sbattuto la testa. E poi si è trascinato. Sul terreno le tracce degli ultimi spostamenti, a forza di braccia, verso il basso, per una ventina di metri. Poi il dolore o le ferite lo hanno stroncato. Gli animali hanno fatto scempio del corpo. E la gente di qui guarda e pensa che deve essere andata davvero così.  

I passeur  
Questa, del resto, è terra di confine, di passeur che un tempo portavano in Francia uomini e cose. E la montagna non è soltanto piste da sci, o sentieri per le passeggiate di vacanzieri che se ne sono appena tornati in città. Nella memoria dei più anziani la montagna è una barriera che, in tanti, hanno provato a forzare. Negli anni, nei secoli. Una storia che si ripete. Che il cinema ha già raccontato. Lo fece Mario Soldati, nel 1948 dirigendo il film Fuga in Francia storia di un espatrio fallito di un gerarca fascista. Le riprese le fecero in centro a Bardonecchia sotto gli occhi stupiti della gente del posto.  
Alessandro Gibello, sindaco di questa città di frontiera una ventina di anni fa, conosce decine di queste storie. «Mi ricordo una volta che, in pieno inverno, andarono a salvare un uomo bloccato alla diga di Rochemoless. Con un principio di assideramento». Era vestito da città. Sognava la Francia, la libertà. Come quella famiglia turca che, trent’anni fa, s’infilò nel tunnel ferroviario. Undici chilometri al buio. Ma non avevano fatto i conti con il fatto che il tunnel è stretto. Che i treni passano giusti - giusti. Che sopravvivere, lì sotto, è soltanto un caso.  

Stranieri  
«Ma anche oggi c’è chi ci prova in quel modo» dicono a mezza voce i ferrovieri. Non bisogna farne troppa pubblicità, ma accade. Sono stranieri, algerini, tunisini, qualche slavo. Le telecamere di sicurezza li inquadrano dopo neanche un chilometro. E quando accade la circolazione si blocca in entrambe le direzioni. E parte un carrello, con un paio di poliziotti, che vanno a recuperare quei disperati. È accaduto anche qualche mese fa. Accadrà ancora. Perché la Francia è sempre la terra promessa di chi non ha nulla. Neanche i documenti da esibire ai gendarmi, ultimi inflessibili controllori di una frontiera che non esiste più.  

Nomi e numeri  
E poi ci sono quelli come Lui, l’uomo a cui appartengono quelle povere ossa trovate in mezzo ai boschi. «Qualche tempo fa, a Chaffaux, oltre i mille e 600 metri, incontrai un cingalese che lavorava in un ristorante di Milano» racconta Renato Bompard, ex vice capo del soccorso alpino di Bardonecchia. «Era affamato e solo. Diceva che voleva andare a vedere l’alba sul confine» racconta.
Chissà se era vero. Chissà se ce l’ha fatta, e se ce l’hanno fatta quei tunisini che hanno razziato una baita al Pian delle stelle. Nessuno li ha visti. Si sa che erano stranieri perchè qualcuno ha perso un’agendina nera, fitta - fitta di nomi e di numeri. Tutte storie più o meno recenti. Di gente che, forse,ha superato picchi e vallate ed è arrivata a Modane, in barba anche ai controllori della gendarmeria. Come, ormai è certo, voleva fare anche Lui. Con la sua tuta rossa e le scarpette da città.  

“La Stampa” 04/09/2012

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