29.12.12

All’amico che aveva il padre tubista. Una poesia di Emilio Piccolo

L’amico aveva il padre che faceva il tubista,
e la vita se l’è sudata
per consentire al figlio di essere quello che ora è.
Uno che ha avuto l’intelligenza
di mandare a quel paese i sogni
con cui chi è giovane
crede di essere indispensabile alla felicità della specie
e ora, più concretamente, si dà da fare
per convincere chi gli è vicino e chi gli è lontano
che vivere ha senso solo se ce l’hai fissa nella testa
l’idea che la libertà è la merce più preziosa
che possa essere venduta nel gran bazar del mondo.
Parla bene l’amico, l’erre un po’ moscia
che hanno tutti quelli che indugiano sulla pronunzia
per persuardere chi ascolta che lo stile è una cosa seria,
il capo pelato che nella storia ha sempre distinto
gli eletti dello spirito, e della materia.

Nulla ricorda in lui il padre che faceva il tubista,
e la vita se l’è sudata
per consentirgli di essere quello che è.
Uno che è felice di avere fatto meno
dei sogni di quando aveva vent’anni
ed era sicuro che il mondo potesse essere cambiato.
Ora, quando si alza la mattina,
legge tutti i giornali, fa colazione, si veste a puntino
ed è subito pronto
per recitare nel gran bazar del mondo
la parte di chi è così felice
di essere il servo di scena che non si chiede chi è mai
il padrone che gli comanda di essere servo, e felice.

È felice, e basta.
Va in televisione, fa l’addetto stampa,
e parla sempre con la stessa voce, dice sempre le stesse cose.
Che i comunisti sono cattivi, e hanno rubato la gioventù
a chi solo perché aveva vent’anni credeva di essere eterno
e di poter cambiare il mondo. Che il mercato rende liberi,
e che un servo di scena può essere felice come il padrone,
e che sa bene come i servi sono simili a quei cagnolini,
e che scodinzolano non appena annusano l’odore del biscotto.

L’amico è una persona perbene.
Una che ha idee precise sulle questioni morali,
e su quelle biologiche.
Può dire la sua sulle staminali, sugli omosessuali,
sulla sicurezza negli stadi e su quella dei profilattici,
sicuro di trovare il consenso di chi è convinto
che dio qualche motivo doveva pure averlo
quando ha affidato la sorte della specie
a quelli che in suo nome si danno da fare
per persuaderci che dio c’è.
E non ha vergogna
di essere solo un servo che se il vento cambia
cambierà padrone come si cambiano calzini e mutande,
e andrà a raccontare al mondo che lui aveva un padre
e che faceva il tubista, e mentre lo faceva
forse sognava che prima o poi con ci sarebbero stati
più né servi né padroni, né chi scodinzola come un cane
non appena annusa l’odore di un biscotto.

Postilla
Ho ripreso la poesia dal sito del Sindacato Scrittori "Le reti di Dedalus", ove fungeva da esergo a un saggio di Antonio Contiliano sul comunismo come utopia efficace. L'autore, poeta collettivista, è morto ad Acerra qualche mese fa.

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