30.12.12

I tre tempi di Gadda (Piero Gelli)

Piero Gelli, in un articolo dello scorso anno su “alias” giudica come una sorta di  “classicizzazione … quale maître del Novecento prossimo passato” la pubblicazione dell’Opera omnia di Gadda da parte di Adelphi, il cui catalogo - configurandosi come una sorta di “canone” – tramanda alla lettura dei giovani i buoni autori italiani del “secolo breve”, che altrimenti risulterebbero sepolti dall’oblio. Ne fa i nomi: “Savinio, Sciascia, Ortese, Landolfi, Manganelli, Parise, Malaparte e pochi altri”. Tesi suggestiva e certo degna di approfondimenti. Io ho sempre pensato ad Adelphi come ad un editore “esclusivo” e mi sembrano in molti casi discutibili i criteri dell’esclusione (piuttosto che quelli dell’inclusione). Scaffai, in ogni caso, utilizza la circostanza per un tracciato della “fortuna editoriale e critica” di Carlo Emilio Gadda che mi pare di qualche utilità, anche perché corredato da spunti analitici e critici non banali. (S.L.L.)
Carlo Emilio Gadda
C’è un Gadda che viene da lontano, di un’epoca che affonda nei precordi dei pochi sopravvissuti: sorge nel 1931 e si chiude a metà degli anni cinquanta. È il tempo di «Solaria», delle sue edizioni, e degli altri editori fiorentini, i fratelli Parenti, Le Monnier, Vallecchi, Sansoni: un Gadda per gli happy few, sotto l’egida espressionista del grande Gianfranco Contini. All’ammirazione incondizionata del giovane filologo – Contini aveva poco più di vent’anni quando recensì il secondo libro Il castello di Udine – per tanti anni si contrappose un consenso più cauteloso da parte di critici più «ufficiali» che, insomma, apprezzavano sì, ma con con judicio, il manierismo frammentato del gran lombardo.
La copertina flamboyant, modernistica di Fulvio Bianconi per Quer pasticciaccio brutto de via Merulana edito da Garzanti apre l’atto mediano: il giallo romanesco ha un successo di lettori inaspettato; confermato e accresciuto, sei anni dopo, dalla pubblicazione einaudiana de La cognizione del dolore, che vince anche un premio internazionale (il premio Formentor): è questa anche la lunga complessa fase della rivalità anche personale tra i due editori: il temibile Livio e il più compito e ipocrita Giulio fanno a gara a strapparsi i titoli, a recuperare l’inedito, o meglio l’edito sparso in riviste o apparso in tirature limitatissime in case editrici morte o moriture, come ben documentano, del resto, nell’ampia nota, i due curatori di questa edizione, su cui tornerò. I quali, giustamente, si fermano, nel racconto, al 1963, anno dell’armistizio: se Einaudi pubblica La cognizione, un mese prima Garzanti esce con questi Accoppiamenti giudiziosi, che altro non è, di base, che la raccolta nutrita di vari altri apporti della vallecchiana Notizie dal ducato in fiamme (Premio Viareggio 1953). Questo periodo di guerriglia editoriale si conclude alla fine degli anni ottanta con la vittoria definitiva di Garzanti, e avendovi partecipato in prima persona mi permetto un inserto autobiografico: fui io a «strappare» il contratto per tutta l’opera gaddiana e i singoli titoli in scadenza per la casa editrice di cui ero allora il direttore letterario, con i miei frequenti viaggi a Ferentino, da Giuseppina Liberati, dove l’amata governante cui lo scrittore aveva lasciato i diritti era tornata a vivere. Giuseppina mi aveva in gran simpatia («nessuno dell’Einaudi si è mai fatto vivo») e ricordava perfettamente quando a metà degli anni sessanta arrivai in via Blumenstil 19 per la tesi, e mi riferiva dei timori dell’ingegnere per quel giovane sconsiderato che per lettera aveva offeso la corte dei suoi cosiddetti nipotini.
Certo la simpatia per me non sarebbe bastata, senza il cospicuo anticipo garzantiano, che forse il divo Giulio non avrebbe potuto permettersi, in crisi perenne com’era, e allora addirittura in amministrazione controllata. Comunque, in questi anni di interesse crescente per l’uomo e lo scrittore, si amplia la prospettiva critica, anche se Contini ne mantiene il predominio, soprattutto dopo la celebre introduzione a La cognizione, che, inoltre, tanto inquietò l’ingegnere per un incauto paragone di tinta omosessuale tra un personaggio della Recherche proustiana, Mademoiselle Vinteuil, e il protagonista Pirobutirro.
In questo mirabolante saggio il filologo confermava la sostanza espressionista dello scrittore e lo inseriva in una catena diacronica che, all’ombra di Dante, s’intrecciava a tutta la nostra storia letteraria, via-Folengo fino agli scapigliati noti, Dossi, Faldella (ma anche un Alpinisti ciabattoni di Cagna, che Gadda bofonchiava di non aver mai letto).
Ma all’impostazione continiana, un’altra si fa avanti più intrigante, autorizzata da una più approfondita conoscenza dell’opera, dalle referenze autobiografiche dei testi, dalla frequentazione con l’autore, una critica psicanalizzante che scava nel male oscuro del grande nevrotico: sono i saggi importanti di Citati e di Roscioni (La disarmonia prestabilita), della splendida controversa indagine di Baldacci, fino al massimalismo di Gioanola (L’uomo dei topazi). Per inciso, ricordo che anche Contini parla dei due grandi scrittori milanesi, Manzoni e Gadda, come «congiunti dall’essere i più nevrotici scrittori d’italia». Contemporaneamente nasce anche una ricca aneddottica sullo scrittore: l’ingegnere diventa personaggio, bizzarro, buffo, a tratti caricaturale. Vi contribuiscono tanti giovani amici, con diverso affetto: dal maligno Piero Santi agli affettuosi Arbasino, Parise, Cattaneo e altri.
Ma con l’edizione garzantiana dell’opera omnia, Dante Isella apre il terzo atto dell’affaire Gadda: ed è il Gadda dei filologi questo, postumo, che nasce dallo studio dei tanti fogli rimasti, i famosi quaderni di calligrafica precisione, con i tanti spunti inconclusi, frammenti di romanzi, racconti appena abbozzati, progetti accantonati. Sono i torsi, i cartoni continiani. Ma l’infinitezza novecentesca, il work in progress come sistema, da queste abbandonate carte, appare davvero poco teorico e dettato più da carenza di fiducia nelle proprie forze, da timori e tremori; mentre dietro l’immagine dello scrittore espressionista, dietro quella dello scrittore-perno dell’avanguardia ’63, grande manipolatore di materiali linguistici (Guglielmi), se ne configura un’altra, che disvela un desiderio di narrazione anche popolare: Manzoni sempre come mito, ma pure Conan Doyle, Balzac, magari Zola e efferati delitti e ingarbugliate vicende familiari…

"alias", 22 ottobre 2011

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