25.12.12

Kiki di Montparnasse (di Luca Scarlini)

Recensione di due libri di memorie della celebre "regina" della vita artistica e intellettuale parigina, l'articolo di Scarlini fa il punto sul mito di Kiki di Montparnasse. (S.L.L.)
Kiki de Montparnasse (al secolo Alice Prin, 1901-1953) è stata un mito per almeno due generazioni di artisti e rimane immortalata nella memoria collettiva per numerosi ritratti, tra cui quello, celeberrimo, che le allestì Man Ray, trasformandola in violoncello umano con il titolo di Violon d'Ingres, con il bel volto di profilo e la testa adorna di un turbante, in una fulminante allusione alle figure del maestro di Montauban.
Molteplici furono i talenti di questa straordinaria signora delle notti parigine, di cui ora la Excelsior 1881 manda in libreria i ritrovati ricordi che vanno sotto il titolo di Infinitamente prezioso (traduzione di Silvia Marina Cristina Calandra, pp. 212, € 16,50), in un volume riccamente illustrato, dopo che già Abramo nel 1997 aveva presentato il Diario. Questi souvenirs, come il volume precedente, che ebbe enorme successo al suo apparire nel 1929 (suscitando anche censure per la trattazione esplicita di scene di sesso), con il corredo di una prefazione di Ernest Hemingway qui riproposta, consacrava un mito personale e quello di un quartiere, che l'aveva eletta regina: Montparnasse appunto, di cui la signora costituì una autorevole incarnazione. Non si contano infatti i nomi famosi che si rincorrono in queste pagine: Kisling e Foujita, ma senz'altro anche i surrealisti, da cui l'autrice prese poi clamorosamente le distanze, accusandoli di incoerenza, e un grande poeta, Robert Desnos, a cui fu legata da tenerezza, nonché Modigliani, in un girotondo di amanti, prima della morte prematura. Il mondo di artisti e modelle assolutamente ha i tratti di una aggiornata Vita di Bohème (non per caso Kiki si rappresenta giovinetta proprio come un personaggio di Henry Murger), ma le durezze di un'esistenza ai margini sono ben presenti e si incidono i segni di una vita frenetica, affrontata spavaldamente.
L'autrice, nata in una famiglia povera, vissuta tra difficoltà di ogni genere, conquista in strada la consapevolezza della sua grande attrattiva, che si riassume in quello strepitoso sorriso, via via sempre più venato di tristezza, mentre dalle continue feste nei cabaret, passa lentamente a una vita professionale prima in posa per i pittori, poi come chanteuse (con tanto di tournèes a Berlino, acclamatissima) e come disegnatrice (con varie mostre all'attivo), dotata di un talento ingenuo, ma senz'altro capace di produrre immagini graziose, come ben documenta l'iconografia del volume. Tra un pernod e un amore, tra una boutade e un azzeccato numero improvvisato al Boeuf sur le toit, locale coordinato come direttore artistico da Jean Cocteau, emerge sotto tutte le risate l'ombra di una malinconia pertinace, fino all'approdo alla droga, narrato in modo diretto, senza infingimenti. L'ultima pagina di queste note termina comunque su un accento di allegria, che sembra la chiusa di una canzone di Edith Piaf: «e adesso sono felice, allegra, ritrovo le mie forze. Vivo, respiro, credo nel futuro. Ho un uomo che mi ama, che amo, saremo felici. Tutto va bene. Kiki».

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