4.12.12

Lo sguardo dell’anima. Pittura e musica nell’Italia di Stendhal (Marco Belpoliti)

Dalla recensione ad una riedizione della Certosa di Parma ( Feltrinelli, 1993, introduzione e traduzione di Gianni Celati,) traggo alcune riflessioni critiche di Marco Belpoliti sulla scrittura e sull’Italia di Stendhal, appropriate e profonde. (S.L.L.)
Non a caso, nel 1839, anno della sua pubblicazione, La Certosa fu considerata dai contemporanei “illeggibile”, “senza profondità”, “una mascheratura all’italiana”, tutti difetti che nel giro di un secolo si sono rovesciati, senza cambiare di peso nel loro contrario. E’ stato Paul Valery a identificare il nucleo melodrammatico del romanzo: il suo riferimento immediato è infatti l’opera, e il carattere degli italiani vi emerge come energia vitale e spontaneità, insieme alla sfiducia, all’ansietà e alla cautela, scrive Calvino in Guida alla Charteuse a uso dei nuovi lettori
Tutto è meravigliosamente teatrale – alla maniera di Ariosto, ma anche del melodramma – tutto è discorso diretto e dietro le vicende dei singoli attori si ascolta “il coro del pettegolezzo o del sentito dire” o, come ha scritto Michel Crouzer, “l’eco collettiva che amplifica l’azione ed esalta i personaggi”…
Stendhal equipara la sua scrittura alla scrittura musicale di Rossini: rapida, irriflessiva, affidata all'estro momentaneo: questo è esattamente ciò che le impedisce di dissociarsi da se stessa, di irrigidirsi e congelarsi. La dote maggiore di questo romanzo - dote che ai contemporanei apparve, salvo rare eccezioni, un difetto - è la sua fluidità, la plasticità, che lascia attoniti coloro che preferirebbero indugiare sul carattere e la psicologia dei singoli personaggi, psicologia che quasi non esiste.
«L'arte dell'immediatezza», in cui Stendhal è sovrano, si accorda perfettamente con quella della composizione, attraverso una musicalità interiore, dei moti dell'anima, annullando in un sol colpo la divisione tra interiorità ed esteriorità, tra il racconto del proprio mondo e il riferimento alla realtà esterna. Il ricordo della passata felicità e la felicità di scrivere seguendo una tonalità intima che nasce dal ricordo  stesso, guidano Stendhal nella narrazione. Il segreto  è  nell'abbandono alla scrittura che ha il suo analogo nel trasporto amoroso dei protagonisti: un unico motivo accomuna la composizione dell'opera e le vicende narrate. L'immagine più pregnante di questo doppio movimento è rappresentato dalla celebre Torre Farnese dove Fabrizio del Dongo sperimenta l'orizzonte vasto, lo sguardo aereo di colui che si trova in un luogo elevato al di sopra dell'immensa pianura, ma anche il suo contrario: la cecità del recluso. La prigione … fa dell'esuberante e imberbe sostenitore di Napoleone, del giovane libertino, un innamorato dotato di un doppio sguardo, quello dell'anima. Fabrizio vede più lontano perché l'alto luogo è ormai dentro di lui, perche ha abolito ogni differenza tra interiorità ed esteriorità, tra mondo esterno e moti dell'anima…
L'Italia descritta dal francese Stendhal non è un paese reale, bensì fantastico, un'invenzione necessaria, eppure l'immaginazione del narratore, compresa la continua ironia che rimpicciolisce ogni cosa togliendole importanza, sa cogliere pregi e difetti del carattere italiano. Allontanandosi dalla Francia, realizzando un estraniamento quasi perfetto, Stendhal applica alla narrazione quel principio che aveva scoperto nella pittura del Correggio, «il principio della vaghezza e dello sfumare tutto in un ultimo orizzonte». Per lui l'arte del Correggio consiste nel «dipingere come la lontananza anche le cose in primo piano» (Storia della pittura in Italia). Questo non è il principio di un estraniamento, bensì una poetica dello sguardo indiretto, poiché, ricorda Celati, per Stendhal «la cosa intravista che ci sfugge è più vicina al nostro cuore».

“la talpa libri” de “il manifesto”, 14 maggio 1993

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