4.12.12

Usurai nel Medioevo. La nascita del Purgatorio e l'alba della banca (Jacques Le Goff)

In margine a uno dei suoi capolavori storiografici, La naissance du Purgatoire, Gallimard, 1981 (edizione italiana La nascita del Purgatorio, Einaudi 1982), Jacques Le Goff scrisse un saggio, pubblicato in Italia dalla rivista “aut aut”, con anticipazioni su “La Repubblica”, che connette tale nascita con la nascita delle banche e del capitalismo. Ne riprendo qui alcuni significativi brani. (S.L.L.)
Jacques Le Goff
L’usuraio  è soprattutto un ladro: ladro del tempo, bene di Dio e bene comune. Egli è al tempo stesso fur, il ladro del diritto civile (considerato un malfattore di ben più alto livello nel Medioevo che nelle società occidentali dei giorni nostri), e latro, il bandito da strada, il fuorilegge, il «gangster» medievale.
Il secondo mestiere infamante spesso evocato a proposito dell'usura è la prostituzione. Come la prostituta, l'usuraio manifesto esercita un mestiere pubblico, al tempo stesso ben conosciuto e vergognoso, come dice Pietro Cantore nella Summa, e come ripetono Roberto di Courson e Tommaso di Chobham. Di più: per le prostitute ci sono delle circostanze attenuanti, poiché, come nota Tommaso di Chobham, anche se il loro lavoro è turpe, esse lavorano.
Il vescovo di Tolosa, Folco di Marsiglia, la cui predicazione e le cui misure antiusura mandarono in rovina per esempio un grande mercante usuraio, Raimondo Durand, promuove una triplice battaglia contro usura, prostituzione, eresia, giacché l'usuraio è associato anche ai grandi peccatori contro la religione, simoniaci ed eretici. Tommaso di Chobham, per esempio, comincia la sua Questio de usura con l'affermazione: «Ci sono due detestabili generi di avarizia che sono soggetti a condanna e punizione, l'usura e la simonia». Il peccato capitale di cui l'usura è la forma più perniciosa è avaritia, l’avidità. L.K. Little ha mostrato come, tra il XII e il XIII secolo, avaritia stesse conquistando la cima della funesta pleiade dei peccati capitali, detronizzando superbia, l’orgoglio. Il peccato dei borghesi sorpassa il peccato dei nobili…

Personaggio diabolico, infernale, l'usuraio mostra ancora la sua natura in tre ambiti nei quali gli uomini del Medioevo sono stati maggiormente soggetti a ossessioni che, in un'epoca di mutamenti e di reazioni come quella tra il XII e il XIII secolo, attraversano una fase di recrudescenza: il denaro, il corpo, gli animali.
Il denaro è diabolico. Francesco d'Assisi supplica i suoi frati di non curarsi delle monete più che delle pietre, per scongiurarne l'azione malefica. Ora, nelle mani dell'usuraio, il denaro si anima e diventa un mostro divoratore. In un exemplum del Dialogus miraculorum di Cesario di Heisterbach, un usuraio deposita il suo denaro in un monastero cistercense. Il custode lo ripone nel forziere del monastero. Quando l'usuraio vuole riprenderlo, il custode trova il forziere vuoto. La serratura non è stata forzata, i sigilli sui sacchi del denaro sono intatti; il furto è perciò escluso. C'è soltanto un'ipotesi: il denaro dell' usuraio ha divorato il denaro del monastero.
Ecco, a proposito di usura, una storia da grandguignol o da thriller. La tragica eroina di questo macabro fatto di cronaca è per l'appunto una donna, un'usuraia. Si tratta di Jutta, di Frechen, vicino Colonia, il cui cadavere, secondo il racconto di Cesario di Heisterbach, è protagonista di fenomeni diabolici. La donna è morta senza pentirsi ed il suo corpo è stato posto sulla terra; è il momento decisivo dell'inumazione in cui il morto si trova al fatale bivio tra la vita e la morte eterna. Ecco che il diavolo, impadronitosi del suo corpo inerte, fa muovere le braccia e le mani, facendo fare loro il gesto di contare del denaro. Il parroco Gerlach viene ad esorcizzare il cadavere. Il corpo ridiventa inerte, ma quando egli ha terminato l'esorcismo, il cadavere ricomincia ad agitare, questa volta, gambe e braccia. Il parroco prende un filo di paglia, la immerge nell'acqua benedetta e la mette in bocca al cadavere, che comincia a masticarla avidamente. Gerlach deve annodare la sua stola attorno al collo dell’usuraia, prima che questa rimanga definitivamente inerte.

La morte è il momento cruciale per l'usuraio. Innanzitutto, poiché il suo destino è di morire senza pentirsi, la sua è la morte atroce dei grandi peccatori, davanti ai quali si spalancano, durante l'agonia, le fauci dell'inferno. I diavoli sono al suo capezzale e spiano la preda. Poi viene il problema della sepoltura; l'interramento dell'usuraio è tragico. In genere gli viene rifiutata la sepoltura cristiana in conformità alle prescrizioni del Laterano III. Ma se per errore o per ignoranza si trovano dei chierici che gli concedono un funerale cristiano, o la sua sepoltura è turbata da incidenti di origine diabolica, come nel caso dell'usuraia di Frechen, oppure è soltanto un simulacro del cadavere che viene interrato, dal momento che la sepoltura dell'usuraio è l'inferno. Perfino al momento della morte l'usuraio porta con sé la borsa piena di denaro maledetto — lo si vede nelle sculture e negli affreschi — e la borsa lo trascina verso le profondità infernali, come la macina da mulino appesa al collo dei condannati li precipita verso la morte. E' del resto l'epoca in cui, dal momento che la cristianità assegna ai maledetti e agli esclusi un segno esteriore che allontani da loro i buoni cristiani, la rotella per gli ebrei, il sonaglio per i lebbrosi, si pensa, come reclama Pietro Cantore, di imporre all'usuraio il segno infamante di una borsa portata all'estremità di un bastone…
Sul piano dunque della salvezza eterna che rimane essenziale per la grande maggioranza degli uomini del XII secolo (usurai compresi), la situazione appare drammatica. Soltanto il complicato meccanismo della restituzione, di difficile realizzazione tecnica e che presuppone che l'usuraio non muoia senza testamento, potrebbe salvarne qualcuno. Le cose andrebbero così se la scelta non fosse che tra il paradiso, impensabile per la maggior parte degli usurai, e l'inferno, loro destinazione naturale e fatale. Ma alla fine del XII secolo si apre una terza via per l'eternità: tra inferno e paradiso si estende ormai il purgatorio, per scissione di una parte dell'inferno divenuta anticamera del paradiso.

Naturalmente fin dai primi tempi del cristianesimo esiste la credenza che ci si può salvare post mortem e che certe azioni dei viventi (elemosine, preghiere, messe) possono giovare in questa forma di salvezza postuma, e soprattutto possono accorciare il periodo di prova passato tra le pene «purgatorie», nel fuoco «purgatorio». Ma non si sa esattamente dove si esercita questa punizione nell'aldilà. Non c'é distinzione tra l'inferno e quello che diventerà il purgatorio; i meccanismi di entrata e di uscita dal purgatorio sono maldefiniti e poco conosciuti. Non esiste il nome «purgatorio» (purgatorium). Nel mondo dei cristiani dell’alto Medioevo, manichei nelle credenze di fatto, se non nella fide ufficiale, non c'è posto per un vero luogo intermedio nell'altro mondo più di quanto non ci sia posto per una popolazione intermedia tra potenti e poveri, clero e laici. Ancora intorno al 1140 il teologo parigino Ugo di S. Vittore afferma che non si sa dove si subiscono i castighi «purgatori». La salvezza post mortem non gioca che un ruolo insignificante nella vita religiosa e sociale.
Il paesaggio dell'aldilà cambia profondamente nella seconda metà del XII secolo: compare il purgatorio, il luogo e la parola. Solo la credenza nel purgatorio e le pratiche che ne derivano permettono di adattare, grazie al meccanismo soddisfazione-riduzione della pena, le esigenze della religione alla complessità della realtà. Certo, anche col purgatorio, non tutto è vinto per l'usuraio in fatto di salvezza all'inizio del XIII secolo. Cesario  di  Heisterbach stesso, spirito illuminato e liberale, manda ancora la maggior parte degli usurai all'inferno. E la Tabula exemplorum, certamente espressione della mentalità media, non apre le porte del purgatorio agli usurai. I grandi «reazionari» del basso Medioevo — Dante prima, S. Bernardino da Siena poi — non hanno nessuna indulgenza nei confronti dell'usuraio. Nella Divina Commedia non ci sono usurai in purgatorio; sono tutti all'inferno, alla fine del settimo girone, sotto la pioggia di fuoco. Sono «la gente trista», ciascuno con una borsa che pende in perpetuo dal collo» («dal collo a ciascun pendea una tasca»). Su queste borse Dante riconosce i colori e le armi di parecchie famiglie nobili di banchieri italiani che non sono di fatto niente altro che usurai: Catello Gianfigliazzi, un fiorentino diventato banchiere in Francia, gli Obriachi e i Becchi, pure fiorentini, e un solo padovano, Reginaldo Scrovegni, della famiglia che ordinò a Giotto i famosi affreschi per la cappella di famiglia a Padova.
Ma all'inizio del XIII secolo l’apertura ideologica è un dato di fatto. Come dice Cesario di Heisterbach in un exemplum dove non si tratta di un usuraio, ma di una monaca che ha perduto la verginità con un monaco: d'ora in avanti il purgatorio rappresenta la speranza; e la speranza della salvezza diventa accessibile all'usuraio. Non pretendo di affermare che questo fatto religioso e ideologico ha creato le condizioni per lo sviluppo economico, né inversamente che la pressione della nuova economia ha generato nuove sovrastrutture spirituali; constato che, a fianco alla pratica — assai limitata — della restituzione, e all'evoluzione che conduce a distinguere 1' usuraio moderno (the pawnbroker) dal principe mercante (the merchant prince), una terza via, la salvezza tramite il purgatorio, ha permesso nel basso Medioevo, contemporaneamente all'evoluzione economica vera e propria, lo sviluppo del capitalismo. La nascita del purgatorio è anche l'alba della banca.

“La Repubblica”, 8 settembre 1981

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