5.1.13

Bruneri o Canella. A ciascuno il suo smemorato (Giovanni De Luna)

Giulia Canella con lo "smemorato"
Ma lo smemorato di Collegno era Bruneri o Canella?
Mario Bruneri, torinese, nato nel 1886, era un ex tipografo, latitante dal 1922, inseguito da tre ordini di cattura, con moglie, un figlio, un'amante chiamata Milly, abituato a vivere di espedienti, pronto a inventarsi mille mestieri e mille nomi per la sua poco fortunata attività truffaldina. Giulio Canella, veronese, nato nel 1882, era un professore emerito di filosofia, un uomo austero, profondamente cattolico, appartenente a una famiglia facoltosa e influente, disperso in guerra sul fronte macedone nel 1916. Al posto dello smemorato di Collegno, voi avreste scelto di essere Bruneri o Canella? «Lo smemorato» scelse (ovviamente?) Canella. A condividere quella scelta ci fu, però, solo la moglie di Canella, Giulia, che - spalleggiata dai suoi familiari - lo riconobbe e lo volle come il proprio marito redivivo; di diverso avviso furono invece i magistrati che la giudicarono una squallida impostura e sentenziarono che «lo smemorato» era e restava solo il tipografo truffatore Mario Bruneri.
Questa vicenda, che giusto ottant'anni fa, proprio a partire dal 1927, spaccò l'opinione pubblica tra «canelliani» e «bruneriani», è entrata da tempo nella storia del nostro costume nazionale, sollecitando il talento narrativo e la passione investigativa di Leonardo Sciascia, ma soprattutto coinvolgendo già subito i grandi e i grandissimi del nostro teatro (Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo) che vi ritrovarono gli elementi più intriganti di alcune delle loro opere meglio riuscite. Come tu mi vuoi andò in scena proprio nel maggio del 1930.
Tocca ora agli storici cimentarsi con quel caso giudiziario attraverso un libro, riuscitissimo, di Lisa Roscioni, Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un'identità contesa (in uscita da Einaudi). Un libro che, detto con franchezza, restituisce alla storia il primato sulla cronaca, alla consapevolezza critica del lungo periodo il primato sull'emotività scatenata dall'evento, alle ricerche sugli archivi e sui documenti il primato sulle testimonianze raccolte «a caldo».
Il suo racconto si può leggere come attraversando una serie di cerchi concentrici. Il primo, il più stretto, ripercorre e costeggia la cronaca. Lo smemorato fu arrestato nel 1926 nel cimitero di Torino mentre cercava di rubare un vaso di rame. Portato in Questura diede in smanie e fu ricoverato nel manicomio di Collegno. Dopo un anno la sua fotografia fu pubblicata sulla “Domenica del Corriere” e Giulia Canella vi riconobbe le fattezze del marito. Grandi emozioni, incontro tra i due coniugi, liberazione dello «smemorato». I giornali si precipitarono sul caso dell'eroe di guerra redivivo e sul lieto fine della vicenda (Un grido, un tremito, un abbraccio, la luce!, titolò “La Stampa”).
Pochi giorno dopo, però, si fece avanti la signora Rosa Negro che invece riconobbe nello smemorato il marito da cui era stata abbandonata qualche anno prima («Signora io non la conosco», sibilò lo pseudo Canella nell'incontrarla). Cominciò cosi' una lunga vertenza giudiziaria per accertare l'identità del marito conteso tra le due donne che si concluse quattro anni dopo, nel maggio 1931, con la sentenza definitiva della Corte d'Appello di Firenze. Lo smemorato era Bruneri.
Ma Giulia non si diede per vinta; per lei - e per i suoi familiari - quell'uomo restava suo marito e, anzi, nel frattempo era diventato anche padre del suo nuovo figlio. La coppia, per sottrarsi alla curiosità morbosa di un pubblico assetato di particolari piccanti o sinceramente appassionato a una storia così complicata e intrigante, emigrò in Sudamerica dove lo «smemorato» morì nel 1941.
Nel secondo cerchio incontriamo la cultura e la società dell'Italia di allora. Intorno al caso Bruneri-Canella Torino mise in campo il fior fiore della sua scienza positivista e della sua psichiatria (da Mario Carrara, genero di Lombroso e suo successore sulla cattedra di Medicina legale, a Alfredo Coppola e Ernesto Lugaro). Tutti erano «bruneriani» (sostenevano cioè che lo smemorato era Bruneri), così come gran parte dei giudici che si occuparono del caso. Ma «la fede» (quella di Giulia Canella) «contro la scienza» era uno slogan molto seducente e nei giornali e nell'opinione pubblica il partito dei «canelliani» era fortissimo. Nacque addirittura un Movimento canellista italiano con il proposito di rilanciare in modo un po' grottesco lo scontro tra gli interventisti (in questo caso i canelliani) e i neutralisti (i bruneriani) che aveva infiammato la vigilia politica della prima guerra mondiale.
Proprio la politica occupa il terzo cerchio della costruzione narrativa del libro. Oggi lo possiamo dire. Bruneri-Canella fu il surrogato di quel confronto libero e aperto che un regime totalitario non poteva permettersi; la cronaca si sostituì alla lotta politica e questo spiega l'interesse bruciante sollevato dal caso. Ma non era solo questo. Si era alla vigilia del Concordato tra il fascismo e la Santa Sede. Tutte le opposizioni era state strangolate da tempo e restava solo lo spazio di un potenziale dissenso, quello delle organizzazioni cattoliche in concorrenza con il regime soprattutto per quanto riguardava l'educazione dei giovani. Bene, nel partito dei «bruneriani» militavano in modo fragoroso personaggi di spicco degli ambienti vaticani come padre Agostino Gemelli e il direttore dell'Osservatore Romano, Giuseppe Della Torre, entrambi antichi amici del «vero» professore Canella. Tra i «canelliani» figurava invece un gerarca del calibro di Roberto Farinacci che non esitò ad assumere la difesa anche legale della famiglia Canella, affiancandosi a un «principe del foro» come Carnelutti. Lo stesso Mussolini seguì con preoccupazione gli sviluppi della vicenda, ordinando ai giornali di non parlarne più per impedire che si potessero acuire antiche tensioni anticlericali.
C'è poi un quarto cerchio ed è quello in cui solo la bravura e la sensibilità dell'autrice poteva accompagnarci. Si tratta dell'eredità fisica ed emotiva dell'immane carneficina di quella guerra mondiale le cui ferite non erano state ancora metabolizzate. Dai campi di battaglia era rotolata una valanga di corpi caduti, dispersi, martoriati, mutilati. Troppi lutti erano rimasti sospesi nell'assenza di un corpo su cui piangere. Giulia riconobbe il marito dal corpo. Era impossibile. Una cicatrice che avrebbe dovuto segnarne le carni non c'era. Ma non importava. Un corpo esisteva; che fosse di Bruneri o di Canella, era un corpo da amare.

“La Stampa”, 26 marzo 2007 

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