22.1.13

Charlot (di Oreste Del Buono)

Il brano che segue è parte di un più lungo necrologio che Oreste del Buono scrisse per “L’Europeo” alla morte di Charlie Chaplin. (S.L.L.)
Per Charlie Chaplin la comunicazione di decesso è arrivata di Natale, insomma senza giornali. La piazza era in mano alla regina dei mass media, la televisione. E la televisione italiana aveva appunto in corso una delle sue impazienti commemorazioni di Charlie Chaplin. La notizia che se n'era andato nel sonno, un sonno che già da un pezzo aveva cominciato a prendere saldamente possesso di lui, come testimoniavano i reperti più recenti, si è insinuata negli svogliati bollettini festivi. E per la maggior parte dei telespettatori si è confusa con la descrizione e l'annuncio del film in programma per la serata di Santo Stefano, il più patetico che abbia mai ideato, diretto, interpretato Charlie Chaplin, Luci della ribalta. L'effettiva morte di Charlie Chaplin non era stata regolarmente inserita nel Radiocorriere, perché, si sa, il Radiocorriere va in stampa tanto prima, e spesso e volentieri non indica i programmi giusti, ma solo quelli ipotizzati, i programmi possono sempre subire varianti. La morte immaginaria, comunque, sotto le spoglie del clown Callvero, sì, era stata inserita, eccome.
Cosa ci resta da aggiungere, a parte che la morte che Charlie Chaplin aveva immaginato per Calvero era più eroica, avveniva appunto nelle luci della ribalta nell'estremo tentativo di imporre allo sfacelo di una carriera di clown un'inversione di tendenza, e che la effettivamente voluto per sé è stata molto più regolare, molto più serena, molto più lontana dalla lotta per la vita, la morte di un vecchio signore che aveva avuto tutto il desiderabile, forse persino la delusione di scoprire che non vale la pena di desiderare? Resta da aggiungere poco, o niente addirittura. Questa scatolaccia infernale della televisione, questa maledizione del nostro mondo cretino, ha già detto troppo, e sta continuando a dire, ormai più che altro per ottenere l'oblio. Poi dall'oblio ritirerà fuori, al solito a sproposito, il vagabondo diseredato o il barbiere dittatore o l'ideologo assassino di tutte quelle signore o il clown sconfitto o il re in esilio o lo steward per contesse d'Hong Kong. E poi li riseppellirà per un ulteriore revival. Il revival è l'arte del vero oblio, defrauda i morti persino delle occasionali intermittenze del cuore altrui.
« Cosa evoca il mio nome nella mente dell'uomo della strada? », diceva Charlie Chaplin nel 1931. «Una piccola silhouette patetica, malvestita, un'informe bombetta, i pantaloni a sacco, le scarpacce smodate e il bastoncino pretenzioso. Sì, il bastoncino è veramente importante per il mio personaggio. Costituisce tutta la mia filosofia. Non solo lo conservo come un emblema di rispettabilità, ma con esso sfido la sorte e l'avversità. Il povero esserino timoroso e denutrito che rappresento sullo schermo non è mai, in realtà, preda di coloro che lo tormentano. Si eleva al di sopra delle proprie sofferenze: vittima di circostanze disgraziate, si rifiuta di accettare la disfatta. Quando le sue speranze, i suoi sogni, le sue aspirazioni si dissolvono nella futilità e nel niente, lui scrolla semplicemente le spalle e alza i tacchi. È abbastanza paradossale constatare che questa maschera tragica ha suscitato più riso di qualsiasi altro personaggio dello schermo o del palcoscenico. Il che prova che il riso è ben vicino alle lacrime e viceversa... ».
Charlie Chaplin, riso e lacrime, è sempre stato meno patetico dei suoi estimatori e dei suoi denigratori. Tra le sviolinature di tenerezza, i mazzetti di violette, le ebrezze sentimentali ha conservato, infatti, la durezza di chi, la miseria, l'ha conosciuta davvero ed è perfettamente al corrente che il riso del povero è diverso dal riso del ricco. Lui, Charlie Chaplin, ha avuto la ventura, o, per l'esattezza, si è conquistato la ventura di essere povero e ricco, vittima e tiranno, perseguitato e trionfatore. Così, ha avuto modo di capirlo bene, il mondo. Tanto bene che da un certo momento in poi ha cercato di allontanarsene il più possibile.

Da “L’Europeo”, 2 gennaio 1978

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