27.1.13

Letture. Il Castello di Otranto (di Vanna Gazzola Stacchini)


Horace Walpole durante il Gran Tour
nel ritratto di Rosalba Carriera
Horace Walpole era figlio di sir Robert Walpole, il grande statista che dominò la politica inglese fra il 1721 e il 1742. Visse perciò nel cuore della società aristocratica e colta del tempo, fra ville gentilizie, e frequenti viaggi a Parigi. Della propria casa di scapolo in Strawberry Hill (che diventerà famosa in tutta Europa) fece un "piccolo castello gotico", arricchendola di torri merlate, di padiglioni (motivi copiati dai principali edifici medievali inglesi): tutto, disse, "per soddisfare il mio gusto, e in qualche misura per realizzare le mie visioni".
Nonostante egli fosse scrittore politico e mondano, la sua fantasia era infatti piena di sogni gotici. In questo amore per le epoche "oscure", piene di suggestione e superstizione, questo irrefrenabile dilettante del medioevo non era - come è noto - solo: si pensi al gusto per l'antica poesia celtica del suo amico carissimo, Thomas Gray, all'Ossian di Macpherson e a tanta altra poesia dell'epoca. Oltre ai castelli, Walpole amava il paesaggio "sublime": attraversando le Alpi, ventiduenne, restò commosso: "Precipizi, montagne, lupi, valanghe, Salvator Rosa. Eccoci, solitari signori di prospettive magnifiche e desolate" (qualcosa di simile, se non erro, scriverà Goethe all' amico Lenz).
Una notte Horace fece un sogno in cui gli era parso di trovarsi in un antico castello e di aver visto in cima a uno scalone una mano gigantesca rivestita di un' armatura. Di qui nacque in lui l'idea di scrivere Il castello di Otranto (che è ora nuovamente riproposto con successo da Theoria, tradotto da Linda Gaia Romano, con introduzione di Andrea Cane, e uno scritto di Mario Praz, pagg. 126, lire 12.000). Questo romanzo, che Walpole presentò (nella prima edizione) sotto la finzione del manoscritto ritrovato, è in assoluto il primo romanzo gotico (o nero o del terrore) della letteratura inglese. Castelli misteriosi, sotterranei terrificanti animati da presenze che dileguano, ritratti che escono dai quadri e si sbattono dietro pesanti porte, scheletri che parlano, altre porte che scricchiolano, oggetti abnormi, e grotte umide nel folto della foresta: tutto l' arsenale che apparirà nella successiva letteratura fantastica, proviene da qui… da un intreccio intricatissimo, fra capovolgimenti di scena, smascheramenti, riconoscimenti e soprattutto equivoci, al punto da presentare a ogni pagina una novità.
L' intenzione di Walpole era stata quella "di fondere i due tipi di romanzo: l'antico e il moderno"; il primo, quello secentesco fatto di inverosimiglianze, il secondo, quello realistico alla Defoe e quello sentimentale alla Richardson, dove si vuol imitare la natura, ricorrendo alle libertà formali sull' esempio di Shakespeare. L' urto fra la sfera del quotidiano (sia pure un quotidiano remoto) e quella del soprannaturale, crea un clima di assurdo.
Il risultato è un coacervo di materiali eterogenei che sembrano sfuggire di mano allo scrittore. Ciò che invece li tiene insieme è un ordine decisamente "teatrale": sostenuto da un uso prevalente del dialogo, dal fatto che i cinque capitoli del romanzo corrispondono ai cinque atti del dramma, anche per la disposizione degli eventi, e che essi si svolgono in tre giorni. Teatrali sono anche i gesti: l'esibizione della virtù e dell' onore come stereotipi del codice cavalleresco nei personaggi "buoni", e teatrale è infine il loro contrappeso comico: gli impappinamenti e i pettegolezzi dei servi che, nel contrasto fra il loro linguaggio e quello dei nobili, echeggiano i servi shakespeariani. L'unico personaggio dotato di una statura eroica e una psicologia complessa è Manfred: orgoglioso, impetuoso, prepotente come chi non è certo del suo potere, non esclude astuzie, bugie o ipocrisie (come il Don Giovanni di Molière tira fuori dubbi sulla legittimità davanti a Dio del proprio matrimonio allo scopo di annullarlo): ma è anche mite di natura, prova segreta vergogna per la propria condotta, talora arrossisce e per questo si arrabbia e diventa più malvagio.
La vera (e profonda) originalità di Walpole sta nell' aver dato voce a cose che sfuggono a una precisa determinazione perchè appartengono a zone della sensibilità che forse solo la pittura di Salvator Rosa e l' arte di Piranesi avevano intuito. Walpole ammirava incondizionatamente Piranesi e forse è proprio a questo artista che si deve l' idea originaria del romanzo: ricorda Mario Praz che in una scena delle Carceri appare proprio un trofeo sormontato da un monumentale elmo piumato che incombe su uomini piccoli come formiche: proprio in questa sproporzione tra persone, oggetti, costruzioni labirintiche, e nella inverosimiglianza e gratuità del loro accostamento, sta la qualità onirica cui si va rivolgendo la nuova sensibilità. In questo senso il castello diviene un luogo psichico (Breton ha parlato di una "questione dei castelli"): mai descritto nei particolari, esso è una presenza oscura. I sotterranei, del resto, sono emblemi dell' inconscio (Freud parlerà di cantina) e non a caso nei romanzi gotici che seguiranno diventeranno anche luoghi di tortura e di efferatezze... Questi fatti psichici universali vennero subito recepiti e furono soprattutto delle donne a farsene interpreti nel romanzo: Clara Reeve, Charlotte Smith, Sophia Lee fra il 1777 e il 1785. Attraverso i romanzi di Anna Radcliffe, che ne usò a piene mani tutto l' armamentario, di Lewis, di Maturin, della Shelley, il romanzo gotico si avviò a divenire un vero e proprio genere di letteratura sensazionalistica e popolare. Se l' incubo che produce Il castello di Otranto è - diciamolo - abbastanza modesto, ciò non è dovuto tanto, come vuole Praz, al fatto che non c' è atmosfera di orrore in un castello che è solo rococò camuffato da gotico e la cui terribilità è quella del melodramma settecentesco: il fatto è, forse, che il nostro palato è abituato agli incubi di Poe o di Hawthorne e, nel nostro secolo, di Lovecraft, i veri eredi di Walpole (nel senso dell' incubo onirico). I loro romanzi fanno impallidire Il castello di Otranto, ma in esso devono riconoscere il loro più sicuro antenato.

“la Repubblica”, 30 agosto 1985

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