6.1.13

Mirello Crisafulli. Il vincitore delle primarie di Enna (di Claudio Fava). Con una mia postilla.

Vladimiro Crisafulli, detto Mirello
Perduti i vecchi blocchi sociali di riferimento, smarrita ogni affinità con la borghesia intellettuale e con i pochi luoghi del sapere, esaurita senza lasciar traccia la breve primavera dei sindaci: da che parte ricominciare per restituire un segno e un senso alla sinistra siciliana? Potevano esserci molte risposte. La più immediata chiamava in causa, come ai tempi di Pio La Torre, l'egemonia di Cosa Nostra e dunque l'urgenza di rinnovare l'impegno antimafia, rimasto ormai privo di rappresentanza politica. In quell'impegno c'era posto anche per il ragionamento su un nuovo modello di sviluppo, su un mercato affrancato dal cappio della spesa pubblica improduttiva, sulla ricerca di un consenso senza obbedienze. Una politica di pensieri lunghi, per dirla con Berlinguer. Prevalsero invece pensieri brevissimi, e un partito a essi adeguato. Con alcuni interpreti d'eccezione.
Uno su tutti: il compagno Mirello Crisafulli, assessore regionale per i DS nel governo Capodicasa, deputato regionale e nazionale di lunga lena, capace di mettere insieme l'efficacia del consenso (vasto, robusto, radicato) con una politica alleggerita da ogni pretesa etica, da ogni tensione civile. Il prodotto di quell'ibrido era un partito interpretato come luogo di gestione e di mediazione, un motore silenzioso della spesa pubblica e privata, un regolatore inflessibile degli assetti di potere. Che poi questo partito si definisse ancora «di sinistra» era più un fatto affettivo che politico, un puro dettaglio fonetico. Condizione imprescindibile di questo pragmatismo era semmai un rapporto finalmente risolto tra politica e mafia: nel senso che non era compito della politica giudicare, impedire o punire. Il suo unico limite andava collocato nel codice penale: tutto ciò che stava al di qua del codice poteva essere fatto. Anzi, doveva essere fatto.
Insomma, una sinistra agnostica sulla mafia ma pronta a confrontarsi con i mafiosi, nel rispetto del codice penale e per il bene del partito. Mirello ne fornì una lectio magistralis nel novembre del 2001 quando s'incontrò in un albergo di Pergusa, 20 chilometri da Enna, con l'avvocato Raffaele Bevilacqua, penalista per vocazione, capomafia per professione. Un colloquio fitto, lungo, amichevole, preceduto da regolamentare bacio sulla guancia. A raccontarlo così, non ci avrebbe creduto nessuno: il fatto è che i carabinieri avevano piazzato nell'albergo un paio di telecamere per indagare su una sospetta estorsione. Si erano ritrovati invece le immagini di quel duetto surreale di un'ora e un quarto tra il politico più potente della provincia di Enna e il reggente locale di Cosa Nostra. Due vecchi amici: sorridenti, a loro agio. Quando un ragazzo dell'albergo si era presentato con una penna e un bloc-notes, Bevilacqua lo aveva congedato con un sorriso navigato: «No, non mi serve la carta... tutto a mente, che così non si lasciano tracce». Parole infelici.
Come tutti i capimafia d'ultima generazione, Bevilacqua è un professionista, ha una laurea, fa politica con profitto (nella DC, corrente andreottiana). All'inizio de gli anni Novanta lo eleggono contemporaneamente al consiglio provinciale di Enna, in rappresentanza della Democrazia Cristiana, e alla cupola provinciale di Cosa Nostra, per conto del boss Piddu Madonia. Un'esperienza istruttiva che permette a Bevilacqua di apprendere il mestiere da alcuni cultori della materia come Riina, Provenzano e Santapaola. Lo arrestano una prima volta e la galera gli vale uno scatto secco di carriera: quando esce, si ritrova capo del mandamento di Enna. E in quella veste, diciamo quasi ufficiale, incontra in un albergo di Pergusa il vicepresidente dell'assemblea siciliana Mirello Crisafulli.
Tu t'aspetti che quando un reggente di Cosa Nostra incrocia un uomo politico, chi conduce la danza sia il mafioso. Succede il contrario. Mirello è scanzonato, disteso, quasi provocatorio: «Ti sto facendo una posizione, curnutu ca si». Bevilacqua abbozza, sorride, s'informa. C'è un rimpasto in un comune della provincia, il boss vorrebbe gente sua in giunta «...se sono amici miei sono anche amici tuoi», dice a Crisafulli. Gli parla di assunzioni, di appalti, di 120 miliardi di lire per il nuovo campus universitario. Mirello fuma e ascolta. E quando Bevilacqua si lamenta per un appalto andato a una ditta non sua, la risposta di Crisafulli è lapidaria: «Fatti i cazzi tuoi!» Così, senza nemmeno alzare la voce. Dei due, chi prende ordini non è certo Mirello.
Quando arrestano Raffaele Bevilacqua per associazione mafiosa (lo condanneranno a dieci anni e sette mesi), Crisafulli riceve una comunicazione giudiziaria per concorso esterno. E il 25 luglio 2003. Chiunque a quel punto avrebbe provato a smarcarsi, a sdrammatizzare l'imbarazzante siparietto col mafioso, magari inventandosi qualche parola d'umiltà: non lui, non Mirello. Il giorno dopo si autosospende temporaneamente dal partito («per evitare imbarazzi e strumentalizzazioni nei miei ambienti politici: sa, sono ambienti eleganti...»), incassa la solidarietà del segretario dei DS Piero Fassino (che gli chiede se ha bisogno degli avvocati del partito), infine rilascia una ricca intervista al Foglio. Non certo per giustificarsi. «Dicono di avermi ripreso all'hotel Garden, con Bevilacqua, a parlare di politica e di appalti. È vero. Il Garden è la mia seconda casa, ci faccio tutto: dai congressi del partito alle campagne elettorali, fino alla vita privata, pranzi e cene. E con chiunque me lo chieda parlo anche di appalti, certo... non sono mica la farina del diavolo, sono materia della politica e dell'amministrazione, e io qui sono un convogliatore di finanziamenti, uno che vuole muovere le cose».
Con chiunque glielo chieda. Anche con l'avvocato Bevilacqua. L'importante è mantenere le distanze, ascoltare, non allargarsi troppo: «Il discrimine è la legalità ma il contesto è la politica», spiega Mirello. È un gioco rischioso, ma il rischio a volte paga. Il 19 febbraio 2004 il pubblico ministero deposita le sue richieste: ritiene «dimostrata da parte del Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua... in materia di finanziamenti e appalti», parla di «inquietante valenza», di «aria grigia», di «affarismo politico-elettorale», censura una condotta «pericolosamente vicina al sottile confine della attività penalmente illecita...». Ma non basta per andare al processo: «Non vi sono sufficienti elementi di prova per dire che Crisafulli abbia arrecato significativa, rilevante utilità a Bevilacqua o a Cosa Nostra». Insomma, prosciolto. Ricandidato. E rieletto: nel 2006 con i DS alla Camera, nel 2008 con il Partito Democratico al Senato. Si vota su liste bloccate, gli eletti sono scelti dal segretario: Piero Fassino, poi Walter Veltroni. Ma per Mirello è un dettaglio: «Tanto io a Enna vincerei col proporzionale, col maggioritario e pure col sorteggio».
Il partito ha perdonato. Perdona perfino Luciano Violante, in altre epoche austero presidente della Commissione antimafia; adesso e proprio lui a perorare nei Ds la candidatura di Mirello: «Non esiste alcun motivo di incompatibilità: Crisafulli è nelle stesse condizioni in cui si è trovato in passato Di Pietro, prima incriminato e poi assolto». Accostamento originale. Crisafulli lo ricompensa a modo suo: appena a Enna s'organizza la festa patronale, si porta a braccetto il compagno Violante alla processione, tra fumi di torrone, trombette ed elettori in festa. L'ex presidente della Camera ricambia aprendosi laggiù la segreteria politica, giusto accanto a quella di Mirello: «Una scelta che avevamo pensato di fare molto tempo prima, perché qui si fanno le cose concrete». Qui, a Enna: mica altrove, dove stanno a giocare ai soldatini di piombo contro mafia.

da I disarmati, Sperling & Kupfer, 2009 

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Postilla
Questo profilo di Mirello Crisafulli tracciato da Claudio Fava mi pare di disarmante attualità. C'è in Sicilia chi contesta la modalità di svolgimento delle cosiddette "parlamentarie" del Pd. Questa contestazione sulla regolarità formale e/o sostanziale riguarda - del resto - anche altre regioni (ho sentito parole di fuoco sul Friuli). Come che sia a Enna Crisafulli ha vinto le primarie per i candidati al Parlamento, con risultati esaltanti che qualcuno ha chiamato bulgari.  A quanto pare aveva ragione quando affermava che a Enna lui vincerebbe "col maggioritario, col proporzionale o col sorteggio". In Sicilia, peraltro, vincono anche altri  marpioni della "concretezza", i Capodicasa di Agrigento o i Genovese di Messina.
Ho sentito che, non essendo in grado di contestare i risultati delle primarie, il vertice Pd sta operando per inserire nelle liste, ai primi posti, rappresentanti dei movimenti antimafia (in primo luogo di "Libera") simpatizzanti per il partito. Tutto ciò è coerente con il modello che molti piddini hanno scelto, il "partito della nazione" incarnato dalla vecchia Dc, dove riuscivano a stare insieme gli antimafia intransigenti e i tiepidi, se non peggio, cioè quelli che pensavano che, se non con la Cupola, con i singoli boss affaristi e politicanti, soprattutto se non ancora condannati, si potessero intavolare dialoghi e perfino trattative.
Anche Monti - a quanto pare - guarda al modello Dc. Così nelle sue file ci saranno i "casinisti" della Sicilia, dell'Udc costruita da Cuffaro, e ci sarà Cesa, il tangentista confesso (decise di "vuotare il sacco" e si autoaccusò come raccoglitore di "pizzi" per il ministro dei LL.PP. Prandini, detto "Prendini"), ma non reo perché prescritto. Tutto fa brodo per il tecnico integerrimo.
Ho la terribile sensazione che, alla fine del giro elettorale, avremo due Democrazie cristiane e nessuna opposizione vera. Un incubo. (S.L.L.)

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