7.1.13

Persecuzioni razziali: gli ebrei che scrivevano al duce (Mirella Serri)

«Io sottoscritta Berta Bertiner... di madre cristiana e di padre israelita... nell'anno 1911 mi trovavo con i miei genitori in Moravia ed esercitavo lo stesso mestiere di mia madre cioè callista pedicure massaggiatrice di bellezza...».
Inizia così una delle più strazianti lettere raccolte da Paola Frandini nel bellissimo Ebreo, tu non esisti. Le vittime delle leggi razziali scrivono a Mussolini (Manni editore). Si tratta di più di 90 missive di ebrei, tutte dirette al Duce e tutte pervase da orrore e incredulità.
Redatte tra il 1938 e il '40, sono dominate dallo sbalordimento di fronte a un intervento che appare abnorme e disumano. Lo sconcerto si manifesta anche in chi è di provata fede fascista, camicia nera fin dalle origini (Alain Elkann, che firma l'introduzione, affronta il tema particolarmente spinoso di chi non vuol credere fino in fondo al tradimento e che continua fino all'ultimo a sperare).
Stupefatti e indignati lo sono anche quelli che prendono la penna per sottrarre alla persecuzione amici ebrei, come l'attrice Maria Melato, la principessa Jolanda di Savoia, il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli, che interviene a favore dell'ingegner Giuseppe De Benedetti. In prima fila, a tentare di far da scudo ai parenti, sono le madri ebree, come la vedova Elvira Finzi, insegnante elementare, con un figlio diciottenne iscritto al Politecnico, che rileva: «A me si toglie l'impiego necessario, a mio figlio la possibilità di studiare».
Scrivono comunque in tanti e di tutte le categorie, professori, imprenditori, militari di carriera, venditori ambulanti. Alcuni, come Arpad Haas, non si impegnano per se stessi ma per proteggere genero e nipotini, veri «figli della Lupa». Abramo Aboaf e altri offrono somme in denaro. Prontamente accettate. Italo Foà si dichiara «Italo di nome e di fatto» e ricorda di avere sette figli. Isacco Ernesto Gallico vuole invece difendere dalla confisca un immobile a Mantova in cui ha investito tutti i suoi beni.
Alle sollecitazioni gli attivissimi funzionari di regime volentieri rispondono: le siglano con una gigantesca «M.» e le accompagnano con diciture rassicuranti per non diffondere il panico.
Così la Bertiner, arrestata e trasferita a Fossoli, ancora dal campo di concentramento verga strazianti petizioni non a proprio favore ma perché la figlia sia «discriminata». La figlia si salverà, ma la madre morirà ad Auschwitz nel '44. Pure per lei c'era la confortante annotazione sulla lettera: «stare tranquilla». Come dire: ci pensa il Duce.

"La Stampa", 23 febbraio 2007 

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