13.2.13

Intellettuali oggi. Il "narcinismo" di fine millennio e la perduta autonomia (Romano Luperini)

Sull’ultimo numero (il 64 - 2012) della rivista “Allegoria”, il professor Romano Luperini, che la dirige, ha riunito sotto il titolo Otto tesi sulla condizione attuale degli intellettuali, nella forma sintetica e paradigmatica di tesi, il contenuto di saggi e articoli scritti fra il 2004 e il 2009, facendovi seguire alcune conclusioni attuali. E’ un testo che mi pare molto importante per il dibattito a sinistra e che si può trovare anche nel sito della rivista. Ne riprendo la parte iniziale, corrispondente alle due prime tesi, che dà spessore storico al ragionare dello studioso e del compagno. (S.L.L.)
Romano Luperini
1.
Per almeno un ventennio, fra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Novanta, ma anche oltre, la linea dominante della cultura “alta” europea e nordamericana ha proposto un’idea del rapporto col mondo e una figura d’intellettuale che hanno rappresentato il lusso e il privilegio dell’Occidente.
La messa sotto accusa del logocentrismo e del realismo, il rifiuto della datità materiale del mondo, la sostituzione di quest’ultima col primato del linguaggio, della intertestualità e della interpretazione
avevano avuto buon gioco in una società sempre più segnata dalla produzione di beni immateriali, dalla rivoluzione informatica, dalla centralità anche economica della comunicazione e dell’informazione che sembrava bandire l’esperienza concreta e sostituirla con il trionfo dell’immagine e della virtualità.
A metà del ventennio considerato la caduta del muro di Berlino e del sistema sovietico diffuse l’illusione di una fine della storia e delle contraddizioni facendo sognare la possibilità di un nuovo Rinascimento e addirittura della nascita di un “uomo nuovo”, allora profetizzato da alcuni teorici del cosiddetto “pensiero debole”. La linea dominante della cultura ha espresso in questo periodo il punto di vista di una civiltà padrona che intendeva la globalizzazione esclusivamente come esportazione di se stessa e che poteva perciò ignorare o rimuovere le guerre locali, la crescita della fame e del sottosviluppo, la ripresa dei fondamentalismi.
È stata l’epoca del narcinismo (narcisismo + cinismo) e dell’individualismo rampante (d’altronde rappresentato e direttamente espresso nel nostro paese da ben due capi di governo, prima Craxi, poi Berlusconi).
A questa idea del mondo e dell’etica corrispondeva una doppia immagine dell’intellettuale: quella oracolare, che presupponeva una cultura sapienziale, dedita alla riflessione sul linguaggio, ai miti fondativi dell’umanità e alle mediazioni non degli uomini fra loro ma fra gli uomini e il Verbo (da qui, per esempio, un intero decennio filosofico, e più, dedicato all’angelologia), e quella cinica-ironica, coltivata da scettici pasticheur di linguaggi e di ri-scritture, da brillanti intrattenitori professanti un ilare nichilismo teorico, e volti non ad argomentare ma a narrare, non a dimostrare una propria tesi ma a decostruire quelle altrui.

2.
Intanto, ai suoi livelli bassi e intermedi, la cultura veniva incorporata nel sistema economico e politico delle comunicazioni di massa. Il sapere-potere degli intellettuali come ceto o categoria sociale, filtrato e selezionato da apparati tecnologici e da enormi complessi produttivi e istituzionali, si è liquefatto e frantumato all’interno di queste strutture che tutt’oggi ne decidono o comunque largamente ne condizionano le scelte fondamentali. Inseriti in questi grandi apparati di sapere-potere, che rispondono a pochi centri di comando integrati, nazionali e multinazionali, gli intellettuali non hanno alcuna possibilità di controllo su di essi. Si riducono a semplici lavoratori della conoscenza, costretti a fare i conti con una perenne instabilità, mobilità, flessibilità e dunque a sviluppare una elevata capacità di conversione.
La cultura umanistica, sminuzzata e ridotta a insieme di informazioni e di saperi, può ora acquisire persino un nuovo (seppur modesto) valore in quanto componente di una formazione di base variamente interdisciplinare e fungibile, capace di adattarsi a condizioni diverse e di fornire alcuni strumenti interpretativi. La Ict (Information and comunication tecnology) ha bisogno di questo tipo di ingranaggio per funzionare. Infatti sia il lavoro di formazione delle informazioni sia il lavoro di consumo delle informazioni richiedono che il materiale informativo venga comunque elaborato. Ma non si tratta più di una attività di mediazione; a mediare – o meglio a imporre i propri prodotti – ci pensano direttamente, e in proprio, gli apparati tecnologici. Da parte loro, questi nuovi lavoratori della conoscenza hanno perduto autorità e autonomia; e non hanno neppure più nulla in comune con la tipologia dell’intellettuale tradizionale di cui parlava Gramsci.

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