3.2.13

La Volpe e Montale (Nicolò Scaffai)

Recensione di un libro recente (2011), l'articolo che segue, di Scaffai, rievoca con grazia una storia d'amore letteraria, una delle più celebri del Novecento italiano. (S.L.L.)
«Pedala, angelo mio!». Così, in un suo ‘madrigale’ (Nubi color magenta…), Montale si rivolge a una donna cui altrove attribuisce il nomignolo di Volpe, senhal della poetessa Maria Luisa Spaziani.
Montale e la Spaziani si erano conosciuti all’inizio del ’49; ne era nata una relazione che ispirerà almeno due sezioni della Bufera e altro (1956): ‘Flashes’ e dediche e proprio i Madrigali privati.
Potremmo leggere un ossimoro in quell’esortazione, che ritrae l’«angelo» nel gesto terreno della pedalata. Se non fosse che lì «angelo mio» è un’allocuzione di affetto e non designa più la ‘donna angelo’, figura di una tradizione lirica sublime che Montale aveva immesso nei suoi versi precedenti a garanzia dei valori – l’amore, la fermezza morale, la poesia – minacciati dalla Storia.
Ma è meglio rinunciare a un confronto interno all’opera per insistere invece sulla dimensione personale e biografica dell’autore. Possiamo, in altre parole, prendere alla lettera l’attributo dei madrigali montaliani: privati, appunto. Perché solo a questi patti si apprezzano le memorie che Maria Luisa Spaziani ha consegnato al suo Montale e la Volpe. Ricordi di una lunga amicizia (Mondadori, pp. 114). Atteso da tempo, il volume è infatti più svelto di quanto non avremmo creduto e forse voluto: il catalogo delle lettere di Montale alla Spaziani (1999) e i sondaggi condotti da Maria Antonietta Grignani nelle sue Dislocazioni (1998) lasciavano credere che i frutti letterari e psicologici del rapporto fossero più succosi. Se a questo aggiungiamo il divieto che impedisce di consultare direttamente le lettere, si comprende perché nel libro autobiografico della Spaziani il montalista riponesse qualche speranza.
Invece – tanto vale dirlo a chiare lettere – dal punto di vista del lettore specializzato Montale e la Volpe è deludente. Sì, apprendiamo che la famosa frase «pedala, angelo mio!» fu effettivamente esclamata da Montale anche se in luoghi e circostanze diversi da quelli allusi nella poesia; acquisiamo una tessera variantistica («l’esule di Charleville» in Per un ‘Omaggio a Rimbaud’ sarebbe nato come «angelo» – pure quello! – e poi sostituito dall’altro trisillabo sdrucciolo su proposta della stessa Volpe); riceviamo qualche conferma sul ruolo di ghost writer della Spaziani al servizio del Montale prosatore e sulla sua presenza in controluce nel racconto Clizia a Foggia.
Per il resto, il libro consiste soprattutto in una schidionata di episodi curiosi, eleganti pettegolezzi e datate mondanità che restituiscono quell’immagine un po’ balzana dell’uomo Montale accreditata anche da altri testimoni.
Ciononostante, Montale e la Volpe non è un libro futile né comico; umoristico, semmai, se è vero che l’umorismo ha sempre un retrogusto serio. Bisogna disporsi a provare una specie di sentimento del contrario per intravedere cosa c’è sotto la superficie di leggerezza: «una scelta di genere», come scrive l’autrice nelle conclusioni, che obbliga a tacere dei «risvolti oscuri e dolorosi». A suo modo, Volpe è stata veramente degna di essere Volpe.

"alias - il manifesto", 8 ottobre 2011

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