«Pedala, angelo mio!». Così, in un suo ‘madrigale’ (Nubi color magenta…), Montale si rivolge a una donna cui altrove attribuisce il nomignolo di Volpe, senhal della poetessa Maria Luisa Spaziani.
Montale e la Spaziani si erano conosciuti all’inizio del ’49; ne era nata una relazione che ispirerà almeno due sezioni della Bufera e altro (1956): ‘Flashes’ e dediche e proprio i Madrigali privati.
Potremmo leggere un ossimoro in quell’esortazione, che ritrae l’«angelo» nel gesto terreno della pedalata. Se non fosse che lì «angelo mio» è un’allocuzione di affetto e non designa più la ‘donna angelo’, figura di una tradizione lirica sublime che Montale aveva immesso nei suoi versi precedenti a garanzia dei valori – l’amore, la fermezza morale, la poesia – minacciati dalla Storia.
Ma è meglio rinunciare a un confronto interno all’opera per insistere invece sulla dimensione personale e biografica dell’autore. Possiamo, in altre parole, prendere alla lettera l’attributo dei madrigali montaliani: privati, appunto. Perché solo a questi patti si apprezzano le memorie che Maria Luisa Spaziani ha consegnato al suo Montale e la Volpe. Ricordi di una lunga amicizia (Mondadori, pp. 114). Atteso da tempo, il volume è infatti più svelto di quanto non avremmo creduto e forse voluto: il catalogo delle lettere di Montale alla Spaziani (1999) e i sondaggi condotti da Maria Antonietta Grignani nelle sue Dislocazioni (1998) lasciavano credere che i frutti letterari e psicologici del rapporto fossero più succosi. Se a questo aggiungiamo il divieto che impedisce di consultare direttamente le lettere, si comprende perché nel libro autobiografico della Spaziani il montalista riponesse qualche speranza.
Invece – tanto vale dirlo a chiare lettere – dal punto di vista del lettore specializzato Montale e la Volpe è deludente. Sì, apprendiamo che la famosa frase «pedala, angelo mio!» fu effettivamente esclamata da Montale anche se in luoghi e circostanze diversi da quelli allusi nella poesia; acquisiamo una tessera variantistica («l’esule di Charleville» in Per un ‘Omaggio a Rimbaud’ sarebbe nato come «angelo» – pure quello! – e poi sostituito dall’altro trisillabo sdrucciolo su proposta della stessa Volpe); riceviamo qualche conferma sul ruolo di ghost writer della Spaziani al servizio del Montale prosatore e sulla sua presenza in controluce nel racconto Clizia a Foggia.
Per il resto, il libro consiste soprattutto in una schidionata di episodi curiosi, eleganti pettegolezzi e datate mondanità che restituiscono quell’immagine un po’ balzana dell’uomo Montale accreditata anche da altri testimoni.
Ciononostante, Montale e la Volpe non è un libro futile né comico; umoristico, semmai, se è vero che l’umorismo ha sempre un retrogusto serio. Bisogna disporsi a provare una specie di sentimento del contrario per intravedere cosa c’è sotto la superficie di leggerezza: «una scelta di genere», come scrive l’autrice nelle conclusioni, che obbliga a tacere dei «risvolti oscuri e dolorosi». A suo modo, Volpe è stata veramente degna di essere Volpe.
"alias - il manifesto", 8 ottobre 2011
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