20.3.13

L'ultimo Beethoven (Giorgio Pestelli)

Dei tre periodi, o stili, in cui per antica convenzione viene suddivisa l'opera di Beethoven, è l'ultimo, quello più «problematico», che di gran lunga continua ad attirare la maggiore attenzione della critica; in verità, i problemi non mancano, anzi, anche negli altri due periodi, quello della formazione e, ancora di più, quello «eroico» del Beethoven di mezzo: parete liscia senza appigli i dove tutto sembra già formato e rivelato; invece l'ultimo Beethoven è pieno di discontinuità e di fessure, di ombre e recessi in cui l'analisi s'addentra con suo comodo; il riutilizzo di forme storiche, fughe, variazioni, gratifica la cultura e l'acume dei commentatori; sopra tutto, e questo oggi attira specialmente, c'è nell'ultimo Beethoven una componente di religiosità ecumenica, un'aura segreta che vela un panorama umano e culturale vastissimo e indefinito.
Non fa eccezione il libro, in una scorrevole traduzione di Nicola Bizzaro, di Maynard Solomon, L'ultimo Beethoven (Carocci, 2010), che con la sua competenza di storico della cultura, della psicanalisi e della musica conferisce ai vari saggi che lo compongono l'unità di una ricerca su «musica, pensiero, immaginazione» del genio beethoveniano in un'emozionante stagione creativa: quella, per intenderci, dove emergono le ultime Sonate per pianoforte, gli ultimi Quartetti, la Nona Sinfonia, la Messa solenne, le Variazioni sul Valzer di Diabelli, le Bagatelle per pianoforte.
L'interesse preminente, an¬che se non esclusivo, dell'autore va però alle «idee estetiche» di Beethoven, ai suoi pensieri, aforismi, annotazioni sulla vita, sull'arte e sulla musica; con pazienza ammirevole Solomon registra e commenta ogni passo utile lasciato dal compositore in lettere, quaderni, sopra tutto nel Diario tenuto fra il 1812 e il 18, e alla voce di Beethoven unisce quelle di un coro di poeti, letterati e filosofi contemporanei, antichi e moderni: per cui alla fine vediamo un Beethoven collocato al centro di una cultura universale dove s'incontrano romanticismo, classicità greco-latina, massoneria, retorica, cristianesimo e influenze brahmaniche.
Come sempre quando s'incrociano filoni diversi si scoprono prospettive stimolanti, ma anche qualche genericità, qui dovuta alla fiducia dell'autore nella corrispondenza fra romanticismo letterario e musicale, che sono invece cose assai diverse; quando si legge ad esempio che caratteristica dell'ultima fase di Beethoven sarebbe lo spostamento del primato della «ragione» a quello dell'«immaginazione», non si può non pensare alla Sinfonia Eroica o ai Quartetti Rasumovsky del periodo centrale come testimonianze di un'immaginazione dispiegata e clamorosa.
Molto di più sul cambiamento operato nella mente dell'ultimo Beethoven ci dicono le pagine sui testi musicali che sono forse le più nuove e importanti del volume: basta leggere l'interpretazione delle Diabelli-Variationen intese come «la forma di un viaggio» o le osservazioni occasionali su singoli lavori: «Spesso nelle ultime sonate e negli ultimi quartetti, Beethoven vuole che ci uniamo a lui nell'accostare l'orecchio al suono di eventi che sono già in corso; (...) queste opere possono iniziare impercettibilmente, come se strisciassero fuori dal nulla, emergendo dall'immobilità, come nell'apertura del Quartetto op. 132». Salutari discese al particolare concreto dalla dominante prospettiva dell’alta cultura.

“Tuttolibri – La Stampa”, 11/9/2010

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