25.4.13

Antifascismo a Perugia. Girolamo Li Causi nel carcere delle torture

Nei primi giorni del maggio ormai lontano del 1932, il Consiglio di disciplina della casa penale di Perugia s'era riunito per giudicare proprio me, il «politico» Li Causi, colpevole di un gravissimo atto di insubordinazione nei confronti del direttore. Gli avevo gridato in pieno viso, a voce piena: «Lei signor Direttore, è un assassino o un imbecille; scelga!».
Era accaduto che arrivando a Perugia, da Oneglia, trasformata in Casa di Lavoro, avevo trovato un gruppo di giovanissimi compagni, quasi tutti emiliani, braccianti e operai di fresco condannati. Fra di loro avevo trovato il compagno Romolo Tranquilli, arrestato a Milano nell'aprile 1928, immediatamente dopo l'attentato di Piazzale Giulio Cesare, dall'allora questore di Genova Bruno, tristamente famoso per l'inumano trattamento che era solito infliggere ai compagni per estorcere confessioni e rivelazioni. In quel momento Bruno voleva ad ogni costo elementi di accusa per «provare» che Tranquilli e altri comunisti erano gli esecutori materiali dell'attentato.
Mi accorsi subito che il giovane Tranquilli stava male.
Gli occhi arrossati e le guance infiammate denunziavano chiaramente uno stato febbrile permanente. Con moltissimo tatto, per non ferirne l'estrema sensibilità e la fierezza, chiesi allo stesso Tranquilli come mai il medico delle carceri non lo curasse, non gli desse un vitto più sostanzioso e soprattutto non avesse pensato a trasferirlo in una casa di cura. Gli altri giovani, tutti affettuosissimi e premurosi con lui, mi informarono dei tentativi fatti per indurre il medico ad interessarsi del sofferente. Ma ogni richiesta era stata nettamente respinta.
Vi andai io stesso ed esposi le nostre preoccupazioni per le condizioni di Tranquilli. Il direttore mi assicurò che a Perugia l'aria era buona, il medico umano, il vitto sano e sufficiente e che il medico fino a quel momento non aveva creduto opportuno fargliene parola.
Passarono così tre settimane. La Pasqua con l'afflusso di pacchi dalle nostre case, ci permise di nutrire meglio il compagno Tranquilli, ma le sue condizioni non ne risentirono alcun beneficio, anzi egli prese a peggiorare sensibilmente. Nessun segno, dopo il primo colloquio col direttore, del promesso interessamento del medico. I compagni erano esasperati, io indignatissimo. Ero deciso a tutto pur di ottenere che il compagno Tranquilli venisse curato.
Non potevo dimenticare che nel gennaio del 1928 in una cella della in Sezione penale dello stesso carcere, diretto anche allora dallo stesso direttore, era stato trovato impiccato il compagno Gastone Sozzi, seviziato per intere settimane per ordine e alla presenza del generale Sanna, presidente del Tribunale Speciale. Quell'assassinio aveva commosso le grandi masse popolari del mondo: io l'avevo bene in mente, ma forse il direttore ignorava che io ero informato del fatto. Perciò, appena ebbi la possibilità di rivederlo, gli gridai in faccia la frase che il Consiglio di disciplina mi contestava. Erano tutti lì, direttore, monsignore, medico e segretario a pretendere da me una giustificazione e delle scuse. Io dissi subito di non aver nulla da ritrattare e aggiunsi anzi che la condotta del direttore e del medico confermavano la mia opinione di trovarmi di fronte a degli assassini. «E il signor Direttore non dimentichi,» dissi ancora, «che il carcere di Perugia gode d'una triste fama in tutto il mondo per l'assassinio del compagno Sozzi, e che è mio dovere fare il possibile per salvare la vita al compagno Tranquilli».
«Io non c'entro con la morte di Sozzi,» balbettò il direttore, «Sozzi fu accusato da un vostro compagno di svolgere azione sovversiva in mezzo all'esercito; il generale Sanna voleva a qualunque costo che Sozzi rivelasse le fila dell'organizzazione comunista fra le forze armate...».
Non ebbero il coraggio di farmi nulla lì a Perugia; tutto il carcere avvertito dello scandalo, ci manifestò in mille modi la sua simpatia. Tranquilli poco dopo venne trasferito al penitenziario di Procida; io a Civitavecchia. Nel settembre di quello stesso anno mi comunicarono che dovevo scontare due mesi di isolamento. Poco dopo da Procida ci giunse la notizia della morte di Romolo Tranquilli.

Da Trent’anni di vita e lotte del PCI, a cura della Commissione Stampa e Propaganda del Partito, 1951

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