8.5.13

Pio II. La splendida gigioneria di un papa umanista (Domenico Del Rio)

La bella e gustosa recensione che segue, dei Commentari di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, è tratta da un ritaglio de “La Repubblica”, senza indicazione di data ma certamente del 1982. Il papa in questione, buongustaio e appassionato di Cicerone, è noto anche per aver commissionato a Leon Battista Alberti il progetto, poi realizzato, di una piccola città ideale che da lui prese nome. Oggi Pienza, nel senese, oltre a una visita gradevole, consente nei suoi ristoranti e trattorie la religiosa assunzione di gustosissimi “pici” ottimamente accompagnati dal vino della vicina Montepulciano. (S.L.L.)   

Papa Pio XII, Enea Silvio Piccolomini. Miniatura coeva
I Veneziani? I veneziani sono pesci. Possono aver cervello i pesci? «Quanto meno di ragione vi è negli acquatici fra gli animali bruti, tanto meno giusti e meno capaci di umanità civile sono i veneziani fra tutti gli uomini del mondo, poiché abitano essi il mare e passano la loro vita intera fra le acque, si valgono delle barche e delle gondole invece che di cavalli, compagni come sono non tanto degli uomini quanto piuttosto dei pesci».
I veneziani sono soltanto una piccola parte di una umanità spregevole. Cristiani, turchi, principi, cardinali, italiani, tedeschi, francesi, spagnoli: tutti avidi, lubrichi, assassini, ingiusti, fatui, insensati, incolti, insolenti.
Lui no. Lui, grande, sommo, massimo: Enea Silvio Piccolomini, Pio II, papa, umanista, giusto, saggio, parlatore invincibile. L'uomo ha un concetto così eccelso di sé che non si capisce più se si tratti di improntitudine o di candore.
Stiamo parlando di un'opera che è il palcoscenico, visto dal trono di Pietro, di tutto ciò che accade in una Europa splendida e barbarica in un paio di decenni a cavallo della metà del 1400: Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt di Enea Silvio Piccolomini, senese, tradotti con un bell'andamento latineggiante da Giuseppe Bernetti, pubblicati da Longanesi con il titolo I Commentari (due volumi, pagg. 1470).

Come in un bosco
L'editore ha avuto probabilmente un'eccessiva fiducia nella cultura dei suoi lettori. L'opera, così come è pubblicata, è come un bosco in cui ci si avventura senza una indicazione, senza una guida, senza un aiuto. Non c'è una prefazione, non c'è un'avvertenza; il primo volume è quasi senza note; qualcuna in più nel secondo appare infine superflua al lettore, ormai assuefatto a procedere da solo.
Ma il bosco è stupendo. Enea dapprima, Pio dopo (l'autore parla sempre di sé in terza persona) non conosce modestia cristiana. Imbevuto di testi latini più che di Sacra Scrittura, presenta se stesso come un eroe classico, che compie ardue imprese, supera ostacoli, stermina avversari con la sola forza dell'eloquenza («Tra moltissimi e insigni oratori, Enea fu il primo di tutti»). Dio, in cielo, è Giove, che è là soprattutto per salvare lui, Enea o Pio, dai pericoli della natura e dalla insensatezza degli uomini.
Anche i titoli dei capitoli sono un succedersi di vanti: «Enea eletto segretario di Eugenio IV; la singolare fortuna che accompagna i suoi meriti»; «Dicerie vane sul prossimo cardinalato di Enea; sua modestia e gioia folle e pazza del vescovo di Zamora»; «Promozione di Enea al cardinalato e universale compiacimento»; «Gioia incontenibile dei romani e letizia di tutte le genti per il pontificato di Pio II»; «Opposizione del duca Francesco e animo invitto di Pio»; «Folle leggerezza e arrogante superbia dei francesi; risposta di Pio degna della loro sfrontata petulanza»; «Pensiero di Francesco Sforza, mirabilmente contraddetto da Pio».
La sua saggezza comincia da giovane. Va in Scozia, dove «le donne sono bianche, aggraziate e voluttuose; baciare una donna colà è cosa più indifferente che in Italia stringere la mano». Ma Enea è continente. Una volta, per paura dei briganti, si trova a passare la notte fra cento donne: «Gravato dal sonno, fu condotto da due fanciulle in una camera dal pavimento cosparso di paglia, pronte, secondo la consuetudine di quel paese, a dormir con lui se ne fossero state richieste. Ma Enea respinse le ragazze, che se ne andarono brontolando». Ed è per quella continenza che l'Onnipotente lo salva anche dai briganti.
Saggiamente passa dal servizio dell'imperatore tedesco a quello del papa romano e viceversa, a seconda degli interessi, accumulando prebende e vescovadi (ma sempre meno degli altri), senza mai cessare di inondare con la sua eloquenza sia la corte imperiale che la corte papale, elogiando se stesso e facendo strame di tutti i concorrenti: «Enea, mirabile a dirsi, parlò per circa due ore e fu ascoltato con un'attenzione così intensa che non si udì mai un colpo di tosse, nessuno distolse mai gli occhi dal volto dell'oratore, a nessuno sembrò lungo il suo discorso, nessuno si rallegrò che egli avesse finito di parlare. Vi furono molti altri oratori, ma furono ascoltati con noia e derisione».

I cardinali tramavano nelle latrine
Attorno a sé vede solo papi, imperatori e principi, responsabili di tutto nel bene e nel male («Qual è quella calamità dei tempi che non sia imputata ai prìncipi?»), sebbene intraveda i meccanismi egoistici del potere («L'imperatore, secondo il costume degli uomini, decise di curare da sé gli interessi propri, e di affidare a terzi quelli comuni»). Finché, a furia di oratoria, anch'egli arriva a cardinale e vescovo di Siena, fra colleghi indegni della porpora, individui invidiosi di quelli, come lui, «giudicati migliori e più degni del Sommo Pontificato».
Del che non si meraviglia. Infatti, «gli uomini di curia sono per loro natura maledici e perversi, giacché quasi tutti pensano unicamente a soddisfare la loro avidità e le loro ambizioni». Del resto, anche il papa che lo fa cardinale, Callisto III, viene definito «l'avido vecchio».
Quando Callisto muore, succedergli è un'impresa, con tanti concorrenti bramosi di trono pontificio. «Ciascuno (ma soprattutto il cardinale di Rouen) vantava i propri meriti, incredibile era l'ardore della gara, grandissima la cautela, inquieti di giorno, insonni nella notte. Il cardinale di Rouen tuttavia non temeva tanto gli altri quanto Enea; egli non dubitava che il silenzio del cardinale di Siena esprimeva una forza ben più grande dei latrati degli altri. Pertanto apostrofava ora questi ora quelli, e rimproverandoli diceva: "Che cosa c'è fra te ed Enea, che tu lo consideri degno del sommo pontificato? Un papa povero ci darai e malato di gotta? Come farà un miserabile a risollevare una Chiesa indigente? Curerà un malato una Chiesa malata? Qual è la sua dottrina? Porremo un poeta sul seggio di San Pietro e governeremo la Chiesa con dottrine pagane?"».
Avviene il conclave. Per tramare di nascosto, «molti cardinali si adunarono nelle latrine e in quel luogo, perché è più nascosto e più segreto, decisero in che modo poter eleggere il cardinale di Rouen. Degno quel luogo per eleggere un tal papa! Perché dove meglio potresti ordire turpi congiure che nelle latrine?».
Mentre gli altri si agitano, Enea dorme. Lo vanno a svegliare: «Che fai, Enea? Non sai che abbiamo già il papa? Nelle latrine si sono adunati alquanti cardinali e hanno stabilito di eleggere il cardinale di Rouen, né altro si aspetta che il giorno». Enea si alza e per tutta la notte, fino all'alba, scatena la sua oratoria. Prende a uno a uno i cardinali italiani e li convince a non dare il papato al francese, a non far diventare il palazzo apostolico «una spelonca di ladroni o un lupanare di meretrici».
Arriva il momento della votazione: «Sedevano tutti al loro posto, taciti, pallidi e, come fuori di sé, attoniti; nessuno parlò per un certo tempo, nessuno aprì bocca. Nessuna parte del corpo muovevano se non gli occhi che agitavano in tutte le direzioni. Era uno strano silenzio, e strano era l'aspetto degli uomini come se ti trovassi fra statue; non si udiva alcun suono, non si vedeva alcun movimento». In mezzo al silenzio lunare, si alza un primo cardinale e fa il nome di Enea. «La sua voce fu come un colpo di pugnale nel cuore del cardinale di Rouen, tanto lo rese esangue».

Godi Siena
Occorrono dodici voti per eleggere il pontefice. Undici sono già per Enea. Si alza il cardinale Prospero Colonna, sta per fare la sua dichiarazione, ma il cardinale di Rouen e quello di Nicea gli si precipitano addosso, lo strappano dal suo scanno e cercano di trascinarlo via perché non parli. Il Colonna si divincola e riesce a gridare: «Aderisco al cardinale di Siena e lo faccio papa».
Allora, «come l'ebbero udito cadde la baldanza degli avversari e fu infranta la trama degli inganni; tutti i cardinali, senza distinzione e senza indugio, si gettarono ai piedi di Enea e lo salutarono pontefice». Naturalmente, con il giubilo immenso di Roma: «Quando fu cosa certa che Enea era stato posto sul soglio di Pietro, non ci fu nessuno che non esultasse. Avresti visto agitarsi per la gioia non solo gli uomini, ma direi quasi anche gli animali e gli edifici della città; riso, allegrezza dovunque, dovunque grida plaudenti: o Siena, Siena, o Siena beata, viva Siena, godi Siena! I vecchi affermano di non aver mai visto in Roma un così grande giubilo popolare».
Da quel momento cessa Enea e incomincia Pio, con la sua immensa saggezza, con la sua fluviale oratoria. Pensa a sistemare i feudi della Chiesa, a intromettersi nei regni d'Europa, soprattutto a lanciare la grande crociata contro il Turco. Dall'alto del suo soglio, vede e giudica regnanti e condottieri, conosce e descrive tutti i misfatti pubblici e privati delle corti europee e dei signorotti italiani.
Alla corte pontificia c'è il cardinale di Arras: «Tanto gli fu familiare e consueto il mentire e lo spergiurare che spesso finì con l'ingannare se stesso, e avrebbe detto il vero quando avesse riconosciuto di avere mentito». Iracondo, il cardinale di Arras prende a pugni i servitori e, a tavola, tira loro in faccia i piatti d'argento. Gran bevitore e amatore, una volta «una donna di Tivoli, una prostituta, che aveva dormito una notte con lui, raccontò poi in giro che si era giaciuta presso un otre gonfio di vino». Ma «le nobili signore di Roma quando lo vedevano passare nella sua statura alta, bene eretta, col petto ampio, nel volto florido e rubicondo, con le sue membra forti e robuste, lo chiamavano l'Achille di Venere e cioè l'eroe dell'amore».

Giovanni Dracula amico dei mariti
Nella Valacchia c'è Giovanni Dracula, l'Impalatore, che oltre alle normali scelleratezze in patria, fa stragi orrende di prigionieri di guerra, comprese «fanciulle di sovrana bellezza»: «Ad alcuni fece strappare la pelle, altri fece arrostire al vivo fuoco infilzati negli spiedi, altri fece gettare nell'olio bollente, altri ancora fece infilzare e trafiggere sui pali, tanti che si vedeva come una selva di pali o antenne nella pianura, nella quale era avvenuto quell'orribile spettacolo di torture e di carneficina».
Ma Dracula sa anche difendere i mariti oppressi: «Quando poi ebbe osservato un contadino che lavorava nel suo podere e che portava una camicia troppo breve per coprirgli le vergogne, informato se avesse egli moglie, quando ebbe udito che era ammogliato, comandò che venisse la moglie al suo cospetto e arrivata in sua presenza le domandò quale fosse infine il suo mestiere e poiché quella rispose "il mestiere del tessere e cucire", ribatté subito: "Perché dunque non hai saputo confezionare a tuo marito una camicia lunga da coprirgli le vergogne"? E ordinò che senza indugio fosse trascinata al supplizio del palo e al campagnolo diede una seconda moglie».

La Crociata
In Francia ci sono i francesi: falsi, millantatori: «I francesi promettono montagne d'oro, com'è appunto di quella nazione, prodiga nel promettere e non si può dire che fra le sue cose ci sia, diciamo, penuria o carestia di ampie promesse».
I francesi sono anche cretini in battaglia. Vanno a combattere il Turco insieme agli ungheresi: «Richiamandosi alla loro nobiltà vollero la parte prima al principio della battaglia, arrivati che furono di fronte al nemico, si appresero subito a un combattimento a piedi lasciando indietro i loro cavalli, e non avvertirono gli ungheresi del loro nuovo e improvviso piano di battaglia». Gli ungheresi, visti i cavalli tornare da soli, credono che i francesi siano stati sconfitti e se la danno a gambe.
E invece, a Pio piacciono le belle battaglie, fatte a regola d'arte militare e con la protezione del Cielo. A Belgrado, contro il Turco, combattono San Giovanni da Capestrano e Giovanni Hunyadi, reggente d'Ungheria: «Il Capestrano e Giovanni Hunyadi osservano attentamente dalla rocca e dall'alto di una torre l'aspra ed incerta battaglia e l'uno dei due mostrando 1' immagine di San Bernardino di Siena e invocando con voce altissima il nome del Salvatore e ripetendo più volte il nome di Gesù, esorta i crociati al combattimento; l'altro mostra dove si deve resistere e dove portare più rapido aiuto, ordina che quanti sono feriti o stanchi ed affaticati recedano dalla mischia, e provvede a mandare in cambio milizie riposate e gagliarde. Ci sono momenti nei quali egli stesso discendendo dalla torre compie le parti del più valoroso dei gregari, là dove egli vede che i suoi combattono con lena minore e forza attenuata».
Naturalmente, Pio non dimentica di essere umanista, amante della natura: «Era maggio e dovunque la natura era in rigoglio; erano tutto un sorriso non solo i prati ma anche le selve, dove gli uccelli modulavano dolcemente i loro canti». Quando si sposta per l'Italia, ama fare colazione «nel placido bosco».
Purtroppo il Turco insidia la cristianità e Pio deve pensare a sterminarlo. Sollecita re e principi. Tutti promettono, ma nessuno si muove. Allora, vecchio, con la gotta che lo affligge, vuole dare il grande esempio a tutta la cristianità. Fa davanti ai cardinali il suo più grandioso discorso e si proclama capo della crociata: «Allestiremo una flotta, saliremo anche noi su una nave, vecchi come siamo e travagliati dalle malattie. Daremo le vele al vento e navigheremo verso la Grecia e l'Asia».
Parte per Ancona e lì muore. Non fa la crociata, ma ci lascia questi Commentari, gonfi di splendida gigioneria e di amara antica sapienza: «Erra il giudizio umano e l’ignoranza accompagna i mortali fino all'estrema vecchiaia».

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