4.6.13

Emilio Sereni. “Mettere radici nella realtà delle cose” (Michele Nani)

Nel corso del 2007 molte iniziative hanno ricordato il centenario della nascita di Emilio Sereni, dirigente comunista, studioso marxista, grande storico dell'agricoltura. Se ne attendono i frutti, ma intanto sono finalmente usciti da Doppiavoce gli atti del convegno che si è tenuto, appunto quattro anni fa, tra Napoli e Portici (Emilio Sereni, ritrovare la memoria, a cura di Abdon A1inovi, Emma Buondonno, Alessandro Santini, Francesco Soverina e Luciano Volpe
Proveniente da una famiglia della borghesia ebraica romana, nella sua giovinezza Sereni operò una doppia «conversione»: da sionista convinto cominciò a lavorare alla tesi di laurea, non a caso dedicata a La colonizzazione agricola ebraica in Palestina (ora riedita nella seconda parte del volume), ma nel 1927, quando la discusse presso l'Istituto superiore agrario di Portici, aveva già maturato una seconda svolta, al marxismo e al comunismo. Quest'ultimo itinerario è documentato dallo splendido carteggio con il fratello Enzo, sionista-socialista emigrato in terra d'Israele, ma accorso in Italia per combattere i fascisti e morto a Dachau dopo essere stato catturato (Politica e utopia, a cura di David Bidussa e Maria Grazia Meriggi, 2000).
Intelletto prodigioso, dalla capacità di lavoro e vastità di interessi che impressionava chiunque lo incontrasse (leggeva un numero incredibile di lingue, inclusi l'ebraico, il russo e il cinese), dopo la laurea la sua vita prese una piega avventurosa, forse oggi nota soprattutto per le pagine della figlia Clara (Il gioco dei regni, 1993), ma già al centro delle memorie della moglie Xenia-Marina (I giorni della nostra vita, 1955). Nel 1930 fu arrestato come esponente di spicco del Pcdi napoletano e condannato a quindici anni di carcere. Amnistiato nel 1935, andò esule in Francia, a lavorare al centro estero del partito. Accusato di non essere abbastanza anti-trockista, nel 1937 fu convocato a Mosca, ma si salvò con l'usuale autocritica indirizzata direttamente a Stalin. Contribuì alla resistenza francese e nel 1944 passò sei mesi nel braccio della morte delle SS: ne uscì rocambolescamente e la Liberazione lo vide dirigente del Cln-Alta Italia. Costituente, ministro nei governi unitari fino al 1947, poi parlamentare, fu uno dei principali dirigenti del nuovo Pci negli anni duri del dopoguerra.
Mentre sulle questioni agrarie ebbe un atteggiamento teso all'apertura, per tessere un'alleanza fra i braccianti e i mezzadri «rossi» e la piccola proprietà coltivatrice, nelle politiche culturali fu espressione dell'ortodossia più rigida. Tuttavia la conoscenza diretta dei testi originali di Marx e Lenin fece del Sereni degli anni Sessanta un direttore di «Critica marxista» aperto al dialogo. In un saggio del 1968, qui opportunamente riedito, si serviva di pagine allora poco conosciute (e non ancora tradotte in italiano) dei Grundrisse per connettere l'«immenso potere dirompente» dell'insubordinazione studentesca globale alla rivoluzione tecnico-scientifica che aveva fatto della scienza una «forza immediatamente produttiva» e dell'istruzione/informazione diffusa un «capitale intellettuale» responsabile di buona parte degli aumenti di produttività, ma anche «primo spiraglio sulla dialettica di un mondo nuovo».
Studiava di notte e nei ritagli di tempo concessi da un impegno politico totalizzante, vergando le oltre trecentomila schede di lettura, poi ordinate in faldoni con l'ausilio delle figlie, che oggi fanno parte dell'archivio, custodito assieme alla ricca biblioteca di Sereni dall'Istituto Cervi di Gattatico. Ad esempio qualcuno lo ricorda intento alla scrittura prima di tenere un comizio a Torre Annunziata: non rivedeva il testo del discorso, ma traduceva frammenti micenei utili alla storia dell'agricoltura antica. Da storico seppe coniugare l'ispirazione marxista, la formazione economica e agronomica, con la curiosità per le fonti allora meno considerate, come i canti popolari o l'iconografia del territorio. In quegli anni, come ha ricordato Paolo Favilli, la storiografia marxista fu al centro di una vera innovazione culturale, fra i cui protagonisti Sereni occupò un ruolo di spicco: Il capitalismo nelle campagne, uscito nel 1947 ma steso negli anni di esilio, fece discutere una generazione di storici del Risorgimento per la tesi della «mancata rivoluzione agraria» e resta tuttora una lettura istruttiva; nel 1961 la Storia del paesaggio agrario italiano (alla quale sono dedicati molti dei contributi del volume) dialogava con Bloch e con le «Annales» e, considerando il paesaggio come un documento della prassi umana, apriva un filone di studi originale e ancor vivo.
Uomo del Novecento, per Sereni politica e ricerca erano, nelle parole con cui lo ricordò dopo la morte nel 1977 l'amico Manlio Rossi-Doria, espressione dello stesso bisogno, «andare alle radici delle cose» e «mettere personalmente radici nella realtà delle cose».

“il manifesto”, 1 marzo 2011

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