10.6.13

Oratori del Novecento. Thomas Sankara, il redentore.

La figura di Thomas Sankara (1949-1987), leader del Burkina Faso ed esponente di punta del panarabismo, fu e resta controversa. Marxista o democratico radicale, cattolico o ateo, per esempio? E’ evidente, in ogni caso, nella sua oratoria un forte afflato di redenzione. Così in questo discorso, ripreso da un numero di “alias” dell’ottobre 2012. (S.L.L.)

Oggi, secondo anniversario della nostra rivoluzione, il mondo intero e il popolo burkinabè  possono constatare che il primo slancio rivoluzionario dell’agosto 1983, frutto di uno sforzo che ci rende  fieri e ci consola, era necessario: ci ha condotto verso più luce, ci ha permesso di affermare la nostra dignità e la nostra indipendenza. Ora abbiamo ragione d’essere risolutamente ottimisti. Non si tratta semplicemente di fare bilanci che non abbiamo nessuna voglia di sbandierare. Ciò che è accaduto in
Burkina Faso è la prova evidente che un mondo nuovo è possibile, a condizione di volerlo edificare su quei cambiamenti radicali giudicati sino ad ora inimmaginabili e di riuscire a coinvolgere, in queste trasformazioni, la maggioranza delle persone.
È evidente che il Faso è diventato un vasto cantiere e mentre vi parlo, da qualche parte donne, uomini e bambini, mobilitati nei loro comitati di difesa della rivoluzione, stanno iniziando o finendo di costruire una scuola, un dispensario o un bacino d’acqua. Vengono aperte le città del 4 agosto, si inaugurano i negozi popolari Faso Yaar, si fanno lavori di interesse comune. Il lavoro produttivo e liberatore comincia a essere accettato e compreso come condizione primaria e garanzia essenziale del miglioramento concreto delle nostre condizioni di vita. Abbiamo il diritto e il dovere di esserne fieri. Abbiamo il diritto e il dovere di esigere di più da noi stessi e osare realizzare ancora di più, per
trasformare le nostre condizioni materiali di vita. Ogni burkinabè sa che oggi lavora e produce per sé stesso, per i suoi bambini e per la sua patria. Quel che è stato fatto e quel che dobbiamo fare sono il test della nostra determinazione a rifiutare definitivamente l’ideologia di sottomissione, mendicità, attesa, fatalismo, tipici di una società dominata.
Fino a che punto i nostri principi e le nostre idee di giustizia, di amore, di libertà e di onestà nella ricerca legittima del benessere, sono penetrati nelle nostre coscienze? Fino
a che punto questi principi e queste idee rivoluzionarie si esprimono nella nostra vita quotidiana, privata o pubblica? Fino a che punto questi principi si traducono effettivamente nelle nostre relazioni sociali e professionali, nella strada, in ufficio, in caserma e nei cantieri?
Rispetto a tutti i regimi del passato, ciò che abbiamo realizzato in due anni di lavoro popolare va al di là di ogni aspettativa.
Nel Discorso di Orientamento Politico, nel capitolo dedicato al «processo rivoluzionario di tutti i settori della società burkinabè» diciamo: «la Rivoluzione di agosto non mira ad instaurare un regime di più in Alto-Volta. Essa rompe con tutti i regimi conosciuti finora. Ha come obiettivo finale l’edificazione di una società voltaica nuova nella quale il cittadino voltaico, animato da una coscienza rivoluzionaria, sarà l’artefice della sua stessa felicità, all’altezza degli sforzi che egli avrà consentito.
Per questo motivo, la rivoluzione sarà, non si dispiacciano le forze conservatrici e retrograde, uno sconvolgimento totale e profondo che non risparmierà nessun campo, nessun settore dell’attività economica, sociale e culturale. Il processo rivoluzionario in tutti i campi, in tutti i settori di attività, è la parola d’ordine che corrisponde al momento attuale. Forte della linea guida così liberata, ogni cittadino, a qualsiasi livello si trovi, deve intraprendere il processo rivoluzionario all’interno del proprio settore di attività».
La missione è tracciata. È chiara. Che cosa ne è stato della sua attuazione? Al nostro attivo abbiamo
esperienze non trascurabili. Passiamone in rassegna qualcuna:
- La riforma agraria e fondiaria ha scardinato lo sfruttamento feudale e ha ristabilito il diritto del popolo alla sua terra e quello di disporre dei frutti della sua produzione.
- Campi collettivi sono stati recentemente creati dagli impiegati della pubblica amministrazione; là, seppur partecipando anche in modo inesperto, uomini e donne apprendono o ri-apprendono il lavoro
della terra. Ne scoprono le gioie nascoste di cui godranno anche quando saranno in pensione.
- I burkinabè hanno compreso che sono vitali per l’economia la conservazione della natura e la salvaguardia dell’ambiente naturale, in particolare il rimboschimento più ampio possibile, l’abbandono della pratica distruttiva dei fuochi nella savana e il vagare degli animali che distruggono i nostri orti.
- Il mondo contadino è sempre più coinvolto e partecipa sempre più direttamente all’esercizio del potere economico, in modo particolare determinando i prezzi dei prodotti agricoli.
- Sul fronte sociale, per rispondere al problema abitativo, abbiamo costruito città e disposto la lottizzazione di terreni su grande scala in tutta la superficie del territorio.
- Nel campo della salute sono state create strutture decentrate per promuovere il benessere delle comunità di base. L’operazione «vaccinazione commando» rimane impressa nella nostra memoria come uno sforzo gigantesco per vincere le malattie. La vaccinazione commando e la grande battaglia per la costruzione della ferrovia sono iniziative audaci che solo la rivoluzione permette.
- Sul piano finanziario, in alcuni servizi è stato operato uno sforzo di risanamento. In particolare in riferimento alla dogana. Lo Stato si fa carico sempre più integralmente dei suoi obblighi finanziari interni ed esterni grazie ai sacrifici consentiti da tutti, ma anche grazie a un più grande rigore nella gestione.
- Sul fronte della giustizia, i Tribunali popolari rivoluzionari hanno promosso una nuova etica adeguata agli interessi del popolo. L’amministrazione penitenziaria è stata riorganizzata per permettere ai detenuti, forza potenziale, di diventare produttivi e di emendarsi nei confronti la società. A Baporo 40 detenuti lavorano brillantemente 50 ettari di terreno, confermando in questo modo che è possibile costruire una morale di progresso.
- Abbiamo riannodato i fili con lo sport, con il senso dello sforzo e abbiamo dimostrato la nostra volontà di rivalutare il nostro patrimonio culturale.
La nostra società sta maturando la coesione e i Burkinabè cominciano a comprendere e ad accettare la necessità della solidarietà al di là del piccolo nucleo familiare, tribale o di villaggio. Si sentono sempre meno voci pigre, abituate a tendere la mano verso gli altri paesi per ottenere il cibo, spesso oggetto di vergognose speculazioni e di ricatti meschini, sia al nostro interno che tra noi e i paesi stranieri. Qualunque fossero state le misure da prendere e per quanto dure esse fossero, per la felicità di tutti queste misure andavano prese. Noi le abbiamo prese. Ma quanta sofferenza abbiamo provato durante l’anno nei confronti di centinaia di famiglie scosse nelle loro abitudini, spinte a cambiare la loro mentalità e obbligate ad operare adeguamenti psicologici dolorosi, per vivere al livello reale del nostro paese.
La società nuova esige mentalità nuova. Ed è per questo motivo che occorre dedicarsi coraggiosamente ad un esame dei nostri due anni di Rivoluzione democratica e popolare senza compiacenza. Che cosa merita d’essere cambiato nelle nostre abitudini, nel nostro modo di essere rivoluzionari? Innanzi tutto il potere popolare: il diritto principale della rivoluzione non viene esercitato abbastanza correttamente.
Come conseguenza dei vari gradi di maturità politica, sono rapidamente comparsi il soggettivismo e gli abusi. È così che le vessazioni, le frustrazioni, le varie contrarietà, hanno macchiato il dialogo di costruzione nazionale tra i Cdr e le persone che ancora esitavano nei confronti della rivoluzione. Occorrerà estromettere dai ranghi dei nostri Cdr gli avventurieri, gli impostori, gli opportunisti, i situazionisti ; essi sono incapaci di una lotta conseguente. È da lì che escono gli amanti del neo-feudalesimo, gli ambiziosi che esercitano il potere come un diritto dinastico, poiché la loro preoccupazione rivoluzionaria si riduce ad assicurarsi strette relazioni a livello dei dirigenti più altolocati. Specialisti dello slalom gigante, non hanno esitato a cambiare furbescamente capi tante volte quante è loro servito per ritrovarsi nelle istanze dirigenziali. Bisogna denunciare apertamente il loro equilibrismo e la loro abilità a mascherare gli appetiti piccolo-borghesi.
Alle forze dell’ordine militare e paramilitare, occorre dire con insistenza che l’agente di sicurezza rivoluzionario non ha più niente a che fare con il barbaro ubriacone repressivo e disumano di ieri. Al contrario, la cortesia, l’amabilità, la generosità e l’assenza di vanità spazzeranno via definitivamente l’immagine negativa delle nostre forze di sicurezza pubblica, senza diminuirne in alcun modo fermezza e vigilanza.
Nella nostra amministrazione, malgrado i successi incontestabili, troviamo qua e là burocrazia neocoloniale, pigrizia, ritardi, assenteismo, incompetenza e mancanza di spirito d’iniziativa che si traduce nell’ossessione per i regolamenti. Invece dimettere i regolamenti a servizio del popolo, alcuni funzionari pongono il popolo al di sotto dei regolamenti.
Ci sono ancora molti difetti, carenze e anche comportamenti molto gravi nella gestione del potere popolare. Bisogna smascherarli. I rivoluzionari non hanno paura di riconoscersi debolezze e difetti, anche di fronte ad avversari e nemici. Esistono ancora compagni che sfruttano in modo disonesto la fiducia del Consiglio nazionale della rivoluzione per dedicarsi a tangenti e intrallazzi, per piazzare in qualche posto una sorella, una cugina o un amico personale. Questo non è normale. Dobbiamo denunciare coraggiosamente simili pratiche se vogliamo avanzare nella via rivoluzionaria, riuscire nel nostro lavoro di trasformazione delle mentalità e costruire una società nuova.
La battaglia per un Burkina verde, subito partita con un’intensa mobilitazione, dovrà proseguire. La
vittoria nelle tre lotte - contro il divagare degli animali allevati e contro il taglio selvaggio della legna, e per la riforestazione - si otterrà e si garantirà solamente se ogni Burkinabè acquisisce la protezione della natura come propria caratteristica onnipresente. È per questo motivo che invito ciascuno a intraprendere una produzione agricola; che ogni casalinga faccia un orto a casa, per quanto piccolo sia. Il riuso delle acque per innaffiare permetterà la produzione di verdure aggiuntive e offrirà ad ogni bambino delle città la possibilità di occuparsi e curare le piante.
Ricordo a tutti la parola d’ordine «un bosco ogni villaggio» e le pianificazioni di spazi verdi urbani. E nelle nostre città invito tutti all’uso massiccio di calce bianca che, oltre al suo potere asettico, ha il vantaggio di abituare molto velocemente lo spirito di ognuno al rispetto della pulizia, del candore e dell’ordine.
Per far sì che le nostre donne, le nostre sorelle smettano di soffrire per i comportamenti disordinati degli uomini, gli stipendi devono diventare un reddito di tutta la famiglia. Lo stato non costringe nessuno al matrimonio, ma esige che chi fonda una famiglia si assuma le sue responsabilità. Ci sono uomini che trasformano le loro donne in serve, rifiutando loro tuttavia persino una paga di domestica e dissipando in futilità il denaro che deve servire alla famiglia. Tutto ciò è amorale, e inaccettabile in una rivoluzione democratica e popolare. Per questo motivo abbiamo elaborato l’idea del «salario vitale» per le donne.
Compagne e compagni militanti della Rivoluzione democratica e popolare, in questo secondo anniversario della nostra rivoluzione vorrei dire al mondo intero, a nome di tutti voi, gli ideali di pace, di libertà e di amicizia che ci animano. Siamo impegnati in un vicinato dinamico e positivo e per questo moltiplicheremo i passi fraterni e privilegeremo il dialogo per fare fallire le manovre divisioniste e la neo balcanizzazione.
La nostra fede nell’unità africana si consolida ancor più in rapporto ai problemi politici, socioeconomici e ci dimostra che, nei confronti dell’imperialismo, noi in Africa abbiamo una sola scelta: morire ciascuno per suo conto o resistere, sopravvivere e vincere insieme. La nostra rivoluzione comunica con tutte le altre rivoluzioni sorelle, preparandosi a fare la sua parte nell’internazionalismo liberatore.
E in seno alle Nazioni Unite, durante il nostro mandato di membro di turno del Consiglio di sicurezza, non verremo mai meno alla missione: la rivendicazione del diritto dei popoli contro la barbarie e la ferocia cieca della confraternita internazionale di Belzebù.
Compagni, per noi si tratta di far nascere l’uomo della libertà contro l’uomo del destino.
La patria o la morte, vinceremo.

*Selezione dal discorso del 4 agosto 1985 del Presidente Thomas Sankara,
ritrascrizione di un file audio di Ulysses Perez, ricercatore francese

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