18.6.13

Vera Vigevani a Perugia: "desparecidos" dalla memoria alla speranza

Organizzato da “Perperugia e oltre” e “Libera Umbria” si è svolto il 13 giugno scorso alla Sala dei Notari di Perugia un affollatissimo incontro dal titolo Dalla memoria alla speranza con Vera Vigevani, una eccezionale donna ultraottantenne, nata a Milano ed emigrata in Argentina sul finire degli anni Trenta per effetto delle discriminazioni antiebraiche delle leggi razziali del fascismo. Tra i trentamila desparecidos voluti dalla Giunta Militare di Videla & C c’era una sua figlia diciottenne, appassionata della vita e della poesia. Vera è stata tra le fondatrici del movimento delle Madri di Plaza de Mayo ed è tuttora attiva per mantenere viva la memoria degli orrori di quella dittatura. Il giornalista che doveva stimolarla era in verità un po’ debordante, ma Vera è stata grande perché sa tradurre in nazione il suo coraggio di donna e di madre, la sua natura di combattente, la sua cultura, la sua umanità e affettività. Unico neo: è anche lei vittima della grande censura di questo tempo di Restaurazione. Non sa più dire la parola “comunismo”. E neanche “socialismo”. Dice “le grandi idee e utopie di uguaglianza” o usa altre perifrasi. Credo che sarà segno di un mutamento epocale, cui forse la mia generazione non assisterà, il poter tornare a pronunziare quelle parole a fronte e voce alta, senza timidezza e autocensure che subiscano l’interdetto del pensiero unico del capitalismo trionfante.
Qui sotto pubblico l’introduzione di “Libera Umbria” da Walter Cardinali, svolta da Walter Cardinali. (S.L.L.) 

“Prima vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

E’ questa una poesia attribuita a Brecht che capita di ascoltare in qualche cerimonia commemorativa degli orrori del XX secolo.
La rileggiamo qui per due ragioni.
Primo. Il suo stile formulare rimanda alle origini magico-religiose della poesia, alla sua potenza apotropaica: vorrei che anche qui, oggi, funzioni da esorcismo per allontanare il male, che significhi “Mai più” come augurio e come impegno, al modo del “Nunca mas” degli amici e dei compagni d’Argentina.
Secondo. Il breve testo ci ricorda che, quando si verificano siffatte tragedie, c’è sempre una corresponsabilità di chi ha taciuto, c’è un grave peccato d’omissione. Nessuno può dire “io non c’entro”.
Vera Vigevani ha vissuto due volte quegli orrori, da figlia e da madre, in due continenti lontani. Oggi, con le altre mamme e nonne argentine della Plaza di Mayo, ci chiede di non rimuovere le terrificanti verità degli anni Settanta nell’America Latina, di non dimenticare.
In questo appello noi di Libera ci riconosciamo e sentiamo la vicinanza con quanto noi facciamo in Italia. Non è un caso che al centro della nostra iniziativa ci sia ogni anno, come per le Madres, una Giornata della Memoria, che noi celebriamo il 21 marzo di ogni anno, mentre il 24 si celebra quella che rammenta le migliaia di desparecidos argentini.
Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta del Novecento, un potere ottuso e criminale, quello delle giunte militari in alcuni paesi del Sud-America, decise una sorta di “soluzione finale”. Dicevano di voler estirpare per sempre la mala pianta del marxismo. E con questa parola intendevano le persone di ogni fede e idea politica, socialisti, cristiani, comunisti, peronisti, soprattutto giovani, che chiedevano democrazia politica, libertà civili, giustizia sociale. In molti casi essi venivano fatti sparire non per quello che avevano fatto, ma per quello che erano e che pensavano. Per non incorrere nelle riprovazioni subite da Pinochet in Argentina si contava sulla paura e sull’isolamento. L’intenzione era di cancellare questa vergogna anche dalla memoria collettiva, come se mai fosse accaduta.
Le Madres hanno detto no, e lo hanno fatto non una per una, ma tutte insieme, tutte a chiedere conto della fine delle loro figlie e dei loro figli, tutte a dare testimonianza di un dolore che non poteva e non doveva essere confinato nel privato. E da questa memoria resistente, singolare e comune, è nata una speranza, un promessa di libertà e di progresso.
E’ quello che anche noi tentiamo di fare in Italia. Le mafie che uccidono e fanno sparire, talora nel silenzio di tanti e perfino con complicità nel potere legale, contano sull’isolamento delle vittime, sull’oblio. La risposta è la memoria, la diffusione della memoria come seme di libertà e giustizia.  

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