11.7.13

1921. Un poliziotto perbene a Sarzana (di Paolo Pezzino)

Un'immagine dal film "Nella città perduta di Sarzana", regia di Luigi Faccini
Sarzana del 21 luglio 1921, un paese in armi resiste alla squadre fasciste mandate a «bonificare» il territorio dai «rossi». Un episodio di lotta unitaria antifascista che ha rappresentato un punto di svolta nella storia italiana, ma che le forze della sinistra di allora non vollero ascoltare. Oggi, la città ligure ricorda quelle vicende con la presentazione del romanzo del regista Luigi M. Faccini «Un poliziotto perbene» e nel convegno di domani «La storia come identità»
E'l'alba del 21 luglio 1921: Sarzana è in stato di allarme. Nei giorni precedenti le squadre fasciste hanno imperversato nei dintorni, devastando ed uccidendo; in una di queste azioni, il 17 luglio, erano stati arrestati dai carabinieri Renato Ricci, capo delle squadre carrarine, ed undici fascisti. L'arresto era stato praticamente imposto dalla popolazione della città: Sarzana, isola rossa in un territorio che dopo le elezioni del maggio era stata progressivamente «conquistato» dalle squadre fasciste, si aspettava infatti di essere ben presto investita dalle squadre di fascisti provenienti dalla Toscana, dall'Emilia, dalla Liguria. Il territorio era indubbiamente difficile da «pacificare»: le tradizioni repubblicana, anarchica, socialista e comunista vi si fondono in una popolazione fiera, gelosa della propria indipendenza e libertà, in una classe operaia tumultuosamente cresciuta nelle fabbriche di armamenti di la Spezia, o tradizionalmente radicata nelle cave di marmo della vicina Carrara. La spedizione di Ricci, ultima di una serie di azioni violente, aveva provocato quindi la reazione delle masse popolari e delle autorità cittadine, ed aveva visto una volta tanto uniti anarchici, socialisti, comunisti, repubblicani, democratici: a Sarzana fu formato un comitato unitario di difesa cittadino, presieduto da un socialista rappresentante di una famiglia di medi proprietari terrieri, che prese accordi con le forze dell'ordine, e il 18 fu proclamato lo sciopero generale, mobilitando anche gli operai di La Spezia e i ferrovieri. Fu creata una fitta rete di sorveglianza del territorio e di staffette, incentrata sugli degli «Arditi del popolo», organizzazione paramilitare antifascista nata nel giugno dall'«Associazione nazionale arditi d'Italia» per contrastarne la deriva fascista.
Nonostante gli «Arditi del popolo» fossero osteggiati dai partiti di sinistra, che li consideravano politicamente immaturi e avventuristi, a Sarzana la loro organizzazione trovò il sostegno dalle forze politiche locali e fu incrementata da gruppi consistenti di operai e di piccoli contadini. Gli «Arditi del popolo» controllano il territorio del circondario, imponendo una sorta di sovranità autogestita finalizzata alla difesa antifascista, che trova il pieno appoggio della popolazione operaia e contadina, ma spaventa a morte i ceti professionali e borghesi. Parte quindi per Roma una delegazione del Comune, che viene ricevuta dal presidente del Consiglio incaricato, Bonomi, insieme ad alcuni deputati socialisti, fra i quali Treves e Turati. Bonomi in presenza della delegazione telefona al prefetto di Genova e gli ordina di impedire che spedizioni fasciste investano Sarzana, e di inviare consistenti rinforzi di carabinieri, guardie regie e militari nella città.
L'atteggiamento di Bonomi si spiega col suo progetto politico di isolare le forze estreme comuniste, e creare un ampio fronte moderato che lo sostenga, nel quale trovasse posti anche il fascismo più politico, dopo che alle elezioni di maggio il movimento fascista, le cui azioni violente contro operai e contadini in lotta avevano goduto del favore delle autorità governative, spesso anche al di là dell'esplicita volontà del governo, aveva ottenuto una significativa affermazione, mandando in parlamento 35 deputati. Il progetto di Bonomi era di coinvolgere il socialismo riformista in un programma di pacificazione, in altre parole porre fine alle violenze da guerra civile che avevano insanguinato il paese, isolare lo squadrismo fascista, puntare su Mussolini e favorire l'inserimento del fascismo nell'ambito delle istituzioni liberali, una volta che ormai il movimento operaio e contadino, dopo la stagione del biennio rosso, era stato messo sulla difensiva anche grazie alle incursioni fasciste dei mesi precedenti. Si tratta di un programma che tendeva a ricondurre il fascismo nei limiti di uno stato liberale rafforzato proprio utilizzando la violenza fascista, un programma che tentava di portare a compimento in qualche modo quella linea giolittiana che tuttavia lo statista di Dronero, dopo le elezioni, aveva reputato non più perseguibile.
In questa prospettiva Bonomi doveva dimostrare di potere in qualche modo governare la violenza fascista: la difesa di Sarzana rappresentava quindi un significativo banco di prova di questa sua volontà. Ma gli apparati statali erano ormai in periferia strettamente connessi al fascismo, del quale spesso condividevano l'odio antisocialista e la volontà di ridimensionare, o cancellare del tutto, le strutture di potere amministrativo, e la rete di organizzazioni politiche, sociali ed economiche che sorreggevano la sinistra nella varie sue componenti, e al quale riconoscevano il merito di avere riportato alto l'onore della nazione, infangato dall'atteggiamento critico verso la guerra e i reduci dei ceti sociali che alla prima si erano opposti, e dei secondi non condividevano la roboante retorica patriottica. Così se le autorità fermarono a Parma i fascisti cremonesi, e gli «Arditi del popolo» respinsero i fascisti di La Spezia, pronti all'azione, sulle colline di Lerici, le autorità di Massa non bloccarono le squadre toscane che convergevano sulla città ligure al comando del fiorentino (nato degli Stati Uniti) Amerigo Dumini, già distintosi per la sua brutalità in molte azioni (tanto da entrare in contrasto anche con altri esponenti del fascismo fiorentino), e uno dei futuri assassini di Giacomo Matteotti.
E così, seguendo i binari della ferrovia, una colonna di centinaia di fascisti toscani arrivò all'alba nel piazzale della stazione di Sarzana, avvistata e seguita per tutto il tragitto dalle vedette poste a difesa della città e dai ferrovieri. Arrivati sul piazzale, i fascisti furono affrontati da una piccola pattuglia di carabinieri e militari comandata da un capitano, e mentre reclamavano la liberazione di Ricci e la via libera per occupare la città, aprirono il fuoco per primi, uccidendo un caporale, ma restando colpiti dal fuoco di reazione delle forze dell'ordine, indubbiamente inatteso: una parte dei fascisti si rifugiò nella stazione, da dove fu fatta ripartire dopo ore su un convoglio appositamente formato (uccidendo nel viaggio di ritorno un contadino, e a sua volta avendo un morto e dei feriti dai colpi sparati dalle squadre degli «Arditi del popolo»). Un altro gruppo di fascisti (oltre un centinaio) si sparse invece per le campagne, cercando di ritornare a Carrara, ma si imbatté nelle squadre di arditi e di contadini, armati questi ultimi con falci e forconi, che ne uccisero un certo numero (probabilmente sette). Complessivamente i fascisti ebbero nella giornata 16 morti e una ventina di feriti.
I fatti di Sarzana ebbero risonanza nazionale: essi spinsero Bonomi a accelerare il patto di pacificazione, firmato il 3 agosto dal movimento fascista, dal partito socialista e dalla Cgl. Questa svolta creò contraddizioni profonde nel movimento fascista, con una decisa sconfessione da parte soprattutto dello squadrismo emiliano e toscano, che arrivò a mettere in discussione lo stesso Mussolini (che uscì dalla crisi trasformando il movimento in partito, anche se si trattava di un partito con forti elementi di militarizzazione), sia a sinistra, approfondendo il dissidio fra socialisti e comunisti. Comunque quei fatti dimostrarono che senza l'appoggio delle strutture dello stato lo squadrismo non avrebbe potuto conquistare tanto spazio sociale e politico; e segnalarono che la strada dell'unità antifascista avrebbe potuto rappresentare una difesa efficace dalla violenza fascista. Essi infine evidenziarono la radicalità delle identità politiche che si scontrarono in quel territorio come altrove, e la loro profonda penetrazione di massa: e non solo le tradizionali culture politiche della zona, repubblicana ed anarchica, o quella socialista e comunista, ma anche quella fascista.
A Carrara la categoria più numerosa di iscritti al fascismo era quella degli operai (per lo più disoccupati), certamente minoritari rispetto a quelli organizzati nella Camera del lavoro, ma comunque segnale di una matrice popolare che il fascismo aveva in qualche modo saputo conquistarsi. Proprio la natura profonda e radicata di queste identità politiche spiega il carattere particolarmente cruento che la guerra civile assumerà in queste zone venti anni dopo, durante l'occupazione tedesca ed il lungo permanere del fronte, attestato sulla Linea Gotica.
A questi fatti il regista Luigi Monardo Faccini aveva dedicato nel 1980 un bel film, Nella città perduta di Sarzana, con Franco Graziosi nella parte dell'ispettore di Pubblica Sicurezza Vincenzo Trani, plenipotenziario di Bonomi a Sarzana nel tentativo di pacificare la zona. E su quei fatti Faccini torna ora con un romanzo (Un poliziotto perbene, Lerici, Ippogrifo Liguria, pp. XXIV-227, euro 16) che è in realtà il prodotto di anni di ricerca, in archivi, negli atti parlamentari e nella stampa locale e nazionale; un libro che ricostruisce, giorno per giorno, il contesto nazionale, e la particolarissima società locale che quei fatti produsse e caratterizzò, un libro che è un atto di amore per questa terra, che Faccini, originario di Lerici, conosce bene, ma anche un lucido saggio di storia, che attraverso la cronaca di quei giorni arriva a porre problemi di grande rilievo: sulla disgregazione delle strutture dello stato liberale, sulla resistibile ascesa del fascismo, sulle identità politiche, sulla violenza come elemento chiave della cultura politica dopo la guerra; sugli errori della sinistra, sulla miopia delle principali forze politiche (nessuna esclusa). Il tutto è visto e narrato attraverso la figura di Vincenzo Trani, il «poliziotto perbene» del titolo, funzionario legato a Nitti, che prende sul serio il compito di pacificazione affidatogli da Bonomi, rifiuta di operare contro gli «Arditi del popolo», considerando legittima l'autodifesa contro le violenze fasciste, mette sotto accusa le autorità periferiche dello stato, per la loro rinunzia consapevole a fare rispettare la legge, denuncia le violenze degli squadristi, e viene richiamato a Roma subito dopo la firma del patto di pacificazione, ponendo fine così alle illusioni di quei (pochi) che avevano sperato, con lui, che «l'impero della legge si ristabilisce con la giustizia».

“il manifesto” 19 luglio 2002

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