5.7.13

Fascismo e cultura. I lamenti di Gentile e l'ombra di Croce (Giovanni Russo)

In margine a una mostra un eccellente articolo di Giovanni Russo su fascismo e cultura filosofica. Una piccola nota critica. Nei taccuini di Croce degli anni 1943-45 non si legge alcuna sofferenza per la morte di Gentile, l’atteggiamento è simile a quella della lettera a De Luca citata nell’articolo: “Ben gli sta”. Probabilmente Russo si riferisce a parole di Croce pronunciate a guerra finita. Fino alla Liberazione, con i Tedeschi a occupare il Nord Italia, con i fascisti a servirli nella Repubblica di Salò, con Gentile a lavorare per loro (seppure con meno settarismo e più intelligenza) anche per don Benedetto “pietà l’era morta”. (S.L.L.)
ROMA — «S. E. De Vecchi si vendica di una mia pagina destituendomi immediatamente dalla direzione della Scuola Normale dì Pisa, da me ricreata e portata a fama mondiale. Io appello a V. E. che sono certo non vorrà approvare un simile atto di risentimento personale e di ingiustizia contro uno dei più fedeli servitori del fascismo che è pure un maestro delle giovani generazioni. Con devoto animo; Giovanni Gentile».
In seguito a questa lettera del giugno del 1936 a lui diretta, Mussolini invita il ministro della Pubblica Istruzione De Vecchi (che era stato in un articolo accusato dal famoso filosofo di  «vuota retorica») a sospendere il provvedimento con un biglietto dal tono un po' paternalistico: «Sii indulgente con i professori!». Due anni dopo De Vecchi sarà però sostituito con Bottai mentre Gentile riprenderà nel 1938 la direzione della Normale.
Gli originali di queste lettere sono esposti, insieme con oltre quattrocento documenti, in gran parte inediti, e a duecento rare fotografie, nella mostra inaugurata solennemente a Roma ieri a villa Mirafìori, da Eugenio Garin, intitolata «Filosofi Università Regime» — «La scuola di filosofia di Roma degli anni Trenta».
Come spiega nella presentazione del volume-catalogo Tullio Gregorj, la mostra è il frutto di una lunga ricerca dì notevole valore storico che consente di capire quale fu, in quegli anni, il rapporto tra potere e cultura, un nodo chiave per la complessità degli equilibri su cui si reggeva il fascismo.
Come direttore dell'Istituto di filosofia della Università di Roma negli anni Trenta, il protagonista centrale è Giovanni Gentile con la sua «politica» culturale che cercava di essere autonoma ma non poteva evitare cedimenti e compromessi e, quando suscitava le reazioni dei fascisti più estremisti, si involgeva inevitabilmente in gravi contraddizioni…
La mostra, come chiariscono bene le accurate note che presentano le sedici sezioni in cui essa è divisa, illustra anche tutto ciò che accadeva intorno a questo centro culturale che era allora certamente uno dei più importanti d'Italia. Viene documentato come il fascismo cercò di controllare e «fascistizzare» l'alta cultura; emergono i fermenti dei giovani del Guf e le difficoltà sempre maggiori che Gentile incontrava (soprattutto dopo il Concordato del 1929 e l'imposizione del giuramento ai professori del 1931) per mantenere indipendenti le ricerche storiche e filosofiche fra la pressione del regime e quella della Chiesa cattolica.

«Mal tolta moneta»
Appare chiaro, ad esempio, proprio nello scontro tra padre Gemelli, rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e Gentile, come la Chiesa usò il Concordato anche per tentare di soffocare la libertà laica di pensiero. I documenti che riguardano questa polemica, la quale nel 1934 portò alla messa all'indice da parte del Santo Uffizio dell'opera omnia di Gentile e di Croce per condannarne la comune radice «idealistica», sono di estremo interesse. Croce in una lettera a don Giuseppe De Luca del giugno 1934 chiarisce che l'accostamento era stato fatto in modo strumentale, essendo ben diverso il suo ruolo di coerente oppositore al regime rispetto a quello di Gentile.
Egli così scrive: «Quanto a colui che l'Indice ha collocato dopo di me, ben gli sta: egli, per gradire al mondo ecclesiastico, ha dato consistenza ufficiale all'Università del Sacro Cuore, ha falsificato gli articoli di storia religiosa della sua enciclopedia, ha mendicato per questa l'approvazione del Papa, ha rinnegato se stesso approvando la conciliazione e la 'mal tolta moneta', il concordato e il traffico delle cause matrimoniali et similia; e ora ne è remeritato. Io, invece, non ho ceduto di un punto nei miei convincimenti e nella conforme azione. Cosicché, sono a posto».
La mostra ha anche un'ampia sezione su Benedetto Croce — intitolata giustamente «Benedetto Croce, ombra sul regime» che, attraverso rapporti dell'Ovra e documenti della segreteria particolare del Duce, dimostra corne il fascismo ossessivamente seguisse ogni movimento del filosofo dalle persone che riceveva al numero delle copie stampate delle sue opere come La storia d’Italia dal 1870 al 1913, anche se non osò metterlo a tacere.
Due episodi sono interessantissimi: la soppressione della «Critica» prima ordinata e poi sospesa nei 1940 dopo una lettera molto bella di Croce all'editore Laterza da questi mandata in copia a Mussolini e al ministro della Pubblica Istrizione Pavolini (Pavolini scrive all'editore il 19 giugno del 1940: «Mussolini non vuole propinare al filosofo nessuna coppa di cicuta neanche sotto la semplice forma della soppressione di una rivista»); il secondo episodio concerne le indagini dell'Ovra sulla nascita del movimento liberalsocialista a Bari di cui sono protagonisti Tommaso Fiore e Michele Cifarelli…

L'ottusità
Lasciamo agli storici di approfondire questo periodo ancora così controverso della vita italiana. Essi troveranno in questa mostra motivi anche per chiarire giudizi e valutazioni talvolta ambigui sul regime fascista dati in occasione di altre mostre e rassegne che hanno rievocato gli aspetti economici, sociali, artistici degli anni Trenta in una luce a volte apparsa quasi positiva. In questa mostra appare invece chiara da una parte l'ottusità di una dittatura priva di ogni vero spessore culturale e dall'altra la vanità degli sforzi del fascismo per dare una «sua» impronta al pensiero filosofico e alla vita culturale in genere.
Esempio tipico della repressione e della soggezione alla Santa Sede è la persecuzione accanita, prima e dopo il Concordato del 1929, contro lo studioso Ernesto Bonaiuti ridotto allo stato laicale perché considerato non ortodosso. Tramite padre Tacchi Venturi, il Vaticano ottenne dalle autorità fasciste di impedire a Bonaiuti di esercitare l'insegnamento nell'Istituto di filosofia dell'università di Roma.
Mussolini appare quasi sempre più intelligente e duttile dei suoi collaboratori, ad eccezione di Bottai, ma talvolta anche peggiore di un occhiuto poliziotto, come quando interviene, nel 1933, per proibire gli abbonamenti delle scuole alla rivista «Critica» di Croce o quando destituisce senza motivo Einaudi dalla presidenza della deputazione Patria, un'istituzione culturale (la lettera che Einaudi gli scrive è un capolavoro di analisi dei rapporti fra fascismo e nazismo).
Anche nell'opera che più va a suo merito, quella che Giovanni Gentile svolse come direttore scientifico dell'enciclopedia Treccani era continuo il tentativo di controllare la «coerenza» politica delle voci e degli autori fra cui Gentile riuscì a fare entrare sia i due grandi studiosi che rifiutarono nel 1931, nella Facoltà di lettere di Roma, il giuramento al regime, Gaetano De Santis e Giorgio Levi Della Vita (bellissime le loro lettere in questa occasione a Gentile) sia dell'allievo prediletto di Gentile, Calogero, che doveva poi con Ragghianti e Capitini diventare uno dei teorici del liberalsocialismo, sia dei giovani studiosi antifascisti come La Malfa, Rossi Doria ed Enriquez.
Citiamo alla rinfusa altri esempi degli spunti che la mostra offre per edificazione del lettore. Le «proteste» perché nell'enciclopedia Treccani era stata ignorata la voce «me ne frego» o l'attacco della rivista fascista “Sapienza” per il fatto che era stato descritto come positivo l'assassinio di Cesare da parte di Bruto e la definizione dell'enciclopedia in un articolo di un gerarca, De Marzio, come di «un vero tesoro di grigiore e di democrazia».
Altri esempi: i fermenti già in quegli anni dei giovani del Guf come Ruggero Zangrandi e Carlo Cassola fondatore del movimento «Novismo», come emergono dai rapporti dei segugi dell'Ovra definiti «accorti fiduciari» nei rapporti della polizia; le sciocchezze del segretario del partito, Scorza, sull'obbligo di abolire la stretta di mano; le proposte di togliere dalle antologie brani di scrittori ebrei da Spinoza a Bergson; il resoconto spassoso del colloquio di Croce con un ignoto informatore dell'Ovra; le lettere dignitose di Edoardo Weiss incaricato della voce psicanalisi per l'enciclopedia Treccani.
Potremmo continuare. Ci preme concludere con una considerazione. Da questa mostra emergono due fatti significativi. Da una parte appare fondamentale l'opera di Croce a Napoli e della casa editrice Laterza a Bari, quindi due città del Sud in cui si determinò l'opposizione culturale al fascismo, che influì sia pure in maniera indiretta sugli orientamenti dello stesso Gentile e dell'Istituto di filosofia di Roma. Dall'altra viene illuminato in tutte le sue contraddizioni a volte stridenti, il ruolo esercitato nei confronti del potere fascista da Giovanni Gentile, uno dei protagonisti della vita culturale italiana di questo secolo che pagò tragicamente con la vita la sua adesione al regime. E Croce soffrì di quella morte crudele.

"Corriere della sera", 11 ottobre 1985 

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