27.7.13

Il cinema di Luciano Salce

Una carriera artistica iniziata a teatro e alla radio e proseguita successivamente anche in televisione e soprattutto al cinema, per il quale ha interpretato una sessantina di pellicole e dirette una quarantina, una decina delle quali da lui anche recitate in ruoli di fianco. Titoli non certo tutti memorabili come Il federale (1961), La voglia matta (1962) e Le ore dell’amore (1963), ideale trilogia di costume che impose un attore fino ad allora considerato puramente farsesco come Ugo Tognazzi tra i “mattatori” della commedia all’italiana al fianco di Sordi, Gassman e Manfredi; o come Fantozzi (1975) e Il secondo tragico Fantozzi (1976), primi due capitoli della fortunata serie con cui Paolo Villaggio portò il suo personaggio più celebre sullo schermo e che molto devono anche all’umorismo corrosivo di Salce, scivolato nello slapstick farsesco con i film successivi firmati da Neri Parenti.
Eppure, anche i casi più dichiaratamente “alimentari” (penso in particolare – nomen omen – a L’anatra all’arancia, trasposizione cinematografica dell’omonima commedia teatrale che si regge sul mestiere suo e della brillante coppia Vitti-Tognazzi, che nello stesso 1975 sbancò i botteghini natalizi), sono sempre contraddistinti dall’onestà di voler intrattenere il pubblico mettendo al suo servizio la propria indiscutibile professionalità. Si potrebbe condensare il senso della sua attività artistica immaginando diretta allo spettatore la battuta “la sua soddisfazione è il nostro miglior premio”, rivolta a Lino Banfi nel film Vieni avanti cretino! (1982), omaggio al cinema di derivazione rivistaiola che in questo senso può essere anche inteso come il canto del cigno del regista.
Nella sua filmografia sono presenti anche pellicole di diverso spessore – o per lo meno curiose per gli spunti che le permeano – inspiegabilmente ignorate dai critici alla loro uscita e solo in questi ultimi anni in parte riscoperte, pur continuando a rimanere di difficile reperibilità: penso a El Greco (1964), biografia romanzata del celebre pittore interpretata da Mel Ferrer e non indegna di confrontarsi con kolossal come Il tormento e l’estasi di Carol Reed; alla satira fantapolitica di chiara influenza sessantottina de La pecora nera con l’istrionico Vittorio Gassman e soprattutto di Colpo di Stato, il film “maledetto” di Salce per la scomodità politica della vicenda narrata (la vittoria del Pci sulla DC in Parlamento attribuita da un calcolatore elettronico, alla quale però i comunisti rinunciano dopo un colloquio con le autorità di Mosca), tanto da esser stato subito ritirato dalla circolazione e conseguentemente considerato per decenni al pari di una leggenda metropolitana; alle ossessioni erotiche di matrice moraviana di Io e lui (1973) – con Lando Buzzanca in uno dei suoi ruoli alla “merlo maschio” che in quegli anni era costretto a replicare all’infinito – e intrise di un feroce humour nero, tra Ferreri e Bunuel, del grottesco sul mammismo Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno (1974), con Villaggio in un inedito ruolo alla Pozzetto prima maniera.
Negli anni Ottanta del secolo scorso la malattia da cui era stato colpito lo ha progressivamente costretto a ritirarsi.

Postilla
Notizie e giudizi – che generalmente condivido- sono ripresi da un articolo di Alessandro Ticozzi su “Le reti di Dedalus”, rivista on line del Sindacato Nazionale scrittori. Fu pubblicato nel febbraio 2009, per il ventennale della morte di Salce e contiene un'intervista al suo biografo Andrea Pergolari e al figlio Emanuele Salce. Non ho ripreso il testo di Ticozzi parola per parola e ho lievemente modificato qua e là la scrittura, soprattutto perché non amo i periodi troppo lunghi, pieni di subordinate. (S.L.L.)

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