1.7.13

Walter Bonatti, gigante dell'alpinismo (Matteo Patrono)

Bonatti sul K2
«Walter Bonatti è stato uno degli alpinisti più grandi della storia, l'ultimo alpinista tradizionale, fortissimo in tutte le discipline. Ci lascia un grande testamento spirituale, quello di un uomo pulito che per le vicende del K2 è stato calunniato per 50 anni ma alla fine tutti gli hanno dovuto dare ragione». Il requiem è firmato Reinhold Messner e chi meglio di lui avrebbe potuto rendere l'ultimo omaggio al grande alpinista, giornalista e scrittore che si è spento martedì notte a Roma per una grave malattia. Aveva 81 anni Walter Bonatti e per l'intensità con cui li aveva vissuti sosteneva di averne almeno 200.
Tra gli anni '50 e '60, fu protagonista di alcune delle più straordinarie ed estreme imprese mai realizzate in montagna, lui che non era un figlio dei monti ma un figlio del Po (era nato a Bergamo) che «sognava le terre lontane di Jack London e Ernest Hemingway». Giovane ginnasta impiegato alla Falck, scoprì il fascino delle scalate ammirando la Grigna e in pochi anni si conquistò una fama che nel 1954, nonostante l'età, gli permise di prendere parte alla spedizione italiana al K2 guidata da Ardito Desio. Era il più in forma ma non spettò a lui posare il piede sulle seconda vetta più alta del mondo. Desio affidò l'attacco finale ad Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, incaricando Bonatti e l'hunza Mahdi di portar loro le bombole di ossigeno oltre gli 8mila metri. Giunti al campo 8 però non trovarono nessuno (i due temevano che il più giovane volesse sostituirli nel tratto finale) e insieme all'alpinista pakistano Bonatti fu costretto a trascorrere la notte all'addiaccio, in una buca, con 50 gradi sotto zero, sopravvivendo entrambi per miracolo. Bonatti non fece polemiche ma il caso scoppiò quando nel 1964 un articolo della “Nuova Gazzetta del Popolo” lo accusò di aver tentato di sabotare l'impresa dei compagni, consumando l'ossigeno delle bombole durante il bivacco notturno e abbandonando Mahdi la mattina dopo. Per respingere i veleni, Bonatti scrisse ben tre libri ma ci vollero 54 anni perché il Club alpino italiano lo riabilitasse grazie alla relazione di tre saggi tra i quali Fosco Maraini. Alla fine anche Lacedelli e Compagnoni furono costretti a malincuore ad ammettere la correttezza di Bonatti. Dopo aver firmato altre imprese memorabili, Bonatti lasciò l'alpinismo nel 1965 per dedicarsi ai reportage e all'esplorazione degli angoli più selvaggi del mondo tra deserti australiani, ghiacci patagonici e altipiani africani. «Andavo in montagna ma non sapevo esattamente cos'era. Ero un animaletto affascinato da questa gente che si appendeva nel vuoto. Quasi un miracolo».

“il manifesto”, 15 settembre 2011

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