15.8.13

La Sicilia a Odessa. Giovanni Grasso nel racconto di Babel (Leonardo Sciascia)


Dei saggi che compongono La corda pazza, una silloge di Leonardo Sciascia che ha come sottotitolo Scrittori e cose della Sicilia, è indicato l’anno di composizione, ma non il luogo della prima pubblicazione. La Sicilia nel cinema, l’ultimo testo del prezioso volume, risale al 1963 e un diavoletto mi dice che fu originariamente pubblicato su “Mondo nuovo”, la rivista della sinistra del Psi con cui il maestro di Racalmuto collaborava, ma non sono certo che mi dica il vero. Dallo scritto di Sciascia ho desunto l’incipit che non discorre di cinema, ma di teatro, di un racconto di Babel che ha al centro un grande attore siciliano, che ebbe apprezzamenti anche molto lontano dalla Sicilia. (S.L.L.) 
Giovanni Grasso
Una felice intuizione della Sicilia è nel racconto di Isaak Babel' intitolato Di Grasso. I traduttori italiani dei racconti, Poggioli e Lucentini (edizione Einaudi), avrebbero forse dovuto prendersi la libertà di eliminare quel Di che probabilmente, in Babel', è un inganno della memoria: poiché nel racconto si tratta dell'attore siciliano Giovanni Grasso, di quella sua tournée in Russia di cui a Catania, e specialmente nel quartiere in cui è nato, resta ancora memoria: per le onorificenze e i doni ricevuti dallo zar in persona, per le manciate di denaro che al ritorno l'attore rovesciò in grembo alla vecchia madre.
«Avevo quattordici anni, - comincia il racconto, - e appartenevo all'intrepida congrega dei rivenditori di biglietti di teatro». A Odessa, naturalmente. E un bel giorno arriva, come nel secondo atto del San Giovanni Decollato, Giovanni Grasso con la sua compagnia: «Arrivarono all'albergo in carri zeppi di bambini, di gatti, di gabbie con dentro saltellanti uccellini... Appena arrivato, l'attore se ne andò al mercato con una borsa. La sera arrivò al teatro con un'altra borsa. In teatro non c'erano più di cinquanta persone. Avevamo provato a vendere i biglietti a metà prezzo, ma non s'erano trovati amatori».
Il lavoro, un dramma popolaresco d'ambiente siciliano, era banale: «una storia qualunque, come chi raccontasse che dopo la notte viene il giorno e dopo il giorno la notte». «Robaccia», si commenta alla fine del primo atto. Ma alla fine del terzo gli spettatori si precipitano alla cassa, a mettersi in coda per lo spettacolo dell'indomani. «Nel corso di quella visita Grasso ci recitò il Re Lear, l'Otello, la Morte civile e il Parassita di Turgenev, confermandoci con ogni parola e con ogni gesto che c'è più giustizia e speranza nella frenesia d'una generosa passione che nelle squallide regole del mondo».
Nella serata d'addio, Grasso ripresenta il dramma che aveva dato in debutto. Ma il giovane rivenditore di biglietti va a vederlo con la morte nel cuore: poiché ha deciso di lasciare Odessa l'indomani, a causa d'un orologio d'oro del padre, che aveva impegnato da Kolja Schwarz, e che ha perduto ogni speranza di riavere. Ma Kolja, quella sera, ha avuto la cattiva idea di portare a teatro la moglie: una povera donna «con un visetto sbattuto e assonnato in cima al grosso corpo avvolto in uno scialle viola con la frangia » che però prende fuoco a contatto della passione di Grasso. Uscendo dal teatro dice al marito: «Disgraziato! Adesso hai visto che cos'è l'amore... » E poi:
"Kolja camminava mogio accanto alla moglie, soffiando pian piano sotto i baffoni di seta. Io lo seguivo piagnucolando, con la forza dell'abitudine. Madame Schwarz, che aveva interrotto un istante le sue recriminazioni, mi senti e si voltò. «Disgraziato, - disse al marito strabuzzando i suoi occhi di pesce, - mi venga un colpo se non restituisci subito l'orologio a questo ragazzo! ».
Kolja restò un momento a guardarla a bocca aperta, poi si decise e mi passò di sghembo l'orologio, con un pizzico da farmi saltare in aria.
«Che cosa ho, - continuò la donna mentre s'allontanavano, con la sua grossa voce sconsolata e piangente, - che cosa ho io da lui? Cose da bestie oggi, cose da bestie domani... Io ti chiedo, vagabondo, quanto credi che possa resistere una donna, in questo modo?».
Arrivarono all'angolo e voltarono in via Puskin. Io restai li stringendo l'orologio, solo. E d'un tratto, con una chiarezza straordinaria, mai provata prima, vidi le colonne slanciate del palazzo della Duma, gli alberi illuminati del Boulevard, l'incerto riflesso della luna sul bronzeo busto di Puskin; vidi, per la prima volta, la mia città come realmente era: silenziosa, e d'una bellezza che non so descrivere".

Che, attraverso Grasso, Babel' intuisca la Sicilia, un luogo in cui la passione vittoriosamente contrasta alle «squallide regole del mondo», non c'è dubbio. Di un personaggio sulla scena dice che «le pieghe del suo panciotto brillano sotto il sole di Sicilia»; e un pezzo di Sicilia diventa, per la presenza di Grasso e delle sue attrici, il vicolo del teatro. Una Sicilia quale si poteva intuire attraverso Grasso: la faccia appassionata, generosa, un tantino convenzionale della Sicilia.

Da La corda pazza, Einaudi, 1970 

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