27.8.13

Un Papa «liberatore» (di Leonardo Boff )

Leonardo Boff
Leonardo Boff , francescano brasiliano, è considerato da molti l’esponente più significativo della “teologia della liberazione” e di quel cattolicesimo che nel subcontinente latino-americano aveva scelto di stare dalla parte dei poveri e delle loro lotte. Per questo aveva subito dal Vaticano  dei veri e propri processi e la sua opera era stata sconfessata e condannata soprattutto durante i papati di Wojtila e Ratzinger. A sorpresa oggi Boff, a pochi mesi dalla elezione a pontefice di Bergoglio, ha salutato in costui un vero innovatore, scrivendo addirittura un libro che lo connette al santo di cui porta il nome, Francisco de Assis e Francisco de Roma (Editora Mar de Ideias, Rio 2013). Una sorta di sintesi delle ragioni di Boff si ritrova nell’editoriale qui “postato” che “il manifesto” ha collocato in prima pagina, tradotto da Flora Misitano. La mia impressione è che egli affidi troppe speranze al nuovo papa. Non credo che la radicale rivoluzione che Boff già vede in atto sia nella volontà di Bergoglio e ancor meno nelle sue effettive possibilità. E tuttavia ritengo utile, nel mio piccolo, di far circolare le sue tesi, perché siano conosciute e discusse. (S.L.L.)
È azzardato fare un bilancio del pontificato di Francesco, è passato ancora troppo poco tempo per averne una visione d'insieme. In una sorta di lettura braille, che coglie solo i punti rilevanti, potremmo qui elencarne alcuni.

1. Dall'inverno ecclesiale alla primavera: veniamo da due pontificati che sono stati caratterizzati da un ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine. Tale strategia ha dato luogo a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative. Con Papa Francesco, venuto da fuori della vecchia cristianità europea, dal Terzo Mondo, è arrivata una ventata di speranza, di sollievo, di allegria di vivere e pensare la fede cristiana. La Chiesa è tornata ad essere una casa spirituale.

2. Da fortezza a casa aperta: i due Papi precedenti avevano lasciato l'impressione che la Chiesa fosse una fortezza, accerchiata da nemici dai quali avremmo dovuto difenderci, in particolare il relativismo, la modernità e la post-modernità. Papa Francesco ha detto chiaramente: «Chi si avvicina alla Chiesa deve trovare porte aperte, non dei doganieri della fede»; «Preferisco una Chiesa incidentata perché è uscita in strada a una Chiesa malata perché chiusa». Più fiducia, quindi, e meno paura.

3.  Da Papa a vescovo di Roma: tutti i Pontefici precedenti si consideravano Papi della Chiesa universale, portatori del supremo potere su tutte le altre chiese e su tutti i fedeli.
Francesco preferisce definirsi vescovo di Roma, recuperando la memoria più antica della Chiesa. Vuole presiedere nella carità e non come previsto dal diritto canonico, considerandosi solo il primo tra uguali. Rifiuta il titolo di Sua Santità, ricordando che «siamo tutti fratelli e sorelle». Si è spogliato di tutti i titoli di potere e onorifici. Il nuovo Annuario Pontificio appena uscito, sulla cui pagina iniziale dovrebbe esserci il nome del Papa con tutti i suoi titoli, reca semplicemente: Francesco, vescovo di Roma.

4. Dal palazzo al convitto: il nome Francesco è più che un nome, sta a indicare un altro progetto di Chiesa sulle orme di San Francesco d'Assisi: «Una Chiesa povera per i poveri», come ha detto, umile, semplice, con «l'odore delle pecore» e non dei fiori dell'altare. Per questo ha lasciato il palazzo apostolico per andare a vivere in un convitto, in una camera semplice, e mangia alla mensa con gli altri ospiti.

5. Dalla dottrina all'esperienza: Francesco non si presenta come dottore, ma come pastore. Parla partendo dalla sofferenza umana, dalla fame nel mondo, dagli immigrati africani sbarcati a Lampedusa. Denuncia il feticismo del denaro e il sistema finanziario mondiale che martirizza interi Paesi.
Con questi atteggiamenti riprende le basi della teologia della liberazione, senza bisogno di citarla. Dice: «Oggi come oggi, se un cristiano non è un rivoluzionario, non è cristiano; deve essere rivoluzionario per la grazia». E continua: «Coinvolgersi in politica è un obbligo per il cristiano, perché la politica è una delle forme più alte di carità». E alla Presidente Cristina Kirchner ha detto: «È la prima volta che abbiamo un Papa peronista», non ha infatti mai nascosto la sua simpatia per il peronismo. I Papi precedenti gettavano una luce sospetta sulla politica, adducendo un'eventuale ideologizzazione della fede.

6. Dall'esclusività all'inclusione: i Papi precedenti, e in particolar modo Benedetto XVI, hanno enfatizzato l'esclusività della Chiesa Cattolica, unica erede di Cristo, al di fuori della quale si è a rischio di perdizione. Francesco, il vescovo di Roma, preferisce il dialogo tra le Chiese in una prospettiva di inclusione anche con le altre religioni, per rinsaldare la pace mondiale.

7. Dalla Chiesa al mondo: I Papi precedenti davano centralità alla Chiesa, rafforzandone le istituzioni e le dottrine. Per Papa Francesco i punti cardine sono: il mondo, i poveri, la tutela della Terra e l'attenzione nei confronti della vita. La questione è: come le Chiese aiutano a difendere la vitalità della Terra e il futuro della vita?
Come si percepisce, sono un nuovo vento, una nuova musica, nuove parole per i vecchi problemi, che ci permettono di pensare ad una nuova primavera della Chiesa.

“il manifesto”, 23 luglio 2013

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