4.9.13

Il “nuovo” capitalismo che ci attende (di Francesco Indovina)

Seppure nella sommarietà di un breve articolo, ritengo che questo scritto di Francesco Indovina (di un paio di anni fa) individui con esattezza alcune caratteristiche del nuovo capitalismo e alcune delle conseguenze che esso comporta. Mi pare che, invece, sia reticente sulle “nuove” guerre imperiali che potrebbe produrre (e sui rischi di “guerra generale” che è insito in esse). E mi pare che coltivi qualche illusione sulle possibilità di una politica che inverta il corso delle cose. Il viottolo di cui parla – ammesso che ci sia – al momento non si vede. Me ne spiace, ma ho qualche ragione per credere che sia ancora il tempo della “resistenza culturale” e della testimonianza individuale e collettiva. Bisogna comunque provarci, in ogni modo e tutte le volte che se ne intraveda l’occasione. (S.L.L.)
Banchiere a Zurigo
Leggendo la stampa e ascoltando i discorsi dei Grandi non pare ci sia una percezione precisa del crinale che il sistema economico-sociale sta attraversando.
Si ciancia di globalizzazione, per cui niente è possibile fare, se non il sogno di un governo mondiale o almeno europeo; si parla di finanziarizzazione dell’economia, cosa che ormai ha almeno quasi mezzo secolo, senza rendersi conto che è messa in crisi la democrazia e l’autodeterminazione
dei popoli. Si legge che il valore del Pil mondiale corrisponde solo ad un ottavo, circa, del valore dei derivati finanziari in circolazione (economia di carta contro economia reale), senza percepire che lo stesso concetto di produzione capitalistica sballa. Si legge che la Cina possiede una parte enorme del debito Usa e anche di altri paesi e non ci si domanda come mai non dedichi più risorse allo sviluppo del suo enorme paese che ha ancora grandi sacche di miseria.
Insomma nessuno si fa le domande che paiono sensate. Mi pare che ci troviamo, non solo in Italia ma soprattutto in Italia, di fronte ad un bivio: da una parte una grande autostrada che riporta indietro, dall’altra parte un viottolo stretto e accidentato che, tuttavia, porta più avanti.
Non si vuole riflettere sul fatto che la dimensione della finanziarizzazione ha modificato la natura del capitalismo, quello al quale lo stesso Marx riconosceva dei meriti di progresso. Per sintetizzare: il processo capitalistico è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella, postmoderna, denaro-denaro-denaro (D-D-D), un mutamento che investe pesantemente non solo la produzione e la distribuzione della ricchezza, ma fondamentalmente il processo politico e la stessa, tanto o poca che sia, democrazia.
È vero, infatti, che D-M-D aveva insito lo sfruttamento del lavoro, ma insieme costituiva un processo all’interno del quale si creava, dentro il suo stesso corpo, la forza antagonistica che imponeva una diversa distribuzione della ricchezza prodotta, l’affermarsi di diritti di cittadinanza, la speranza di una società diversa. Il capitale, in questa accezione, è costitutivo di una certa società ed esso stesso rapporto sociale.
Al contrario, quando prevale il meccanismo D-D-D, si scioglie il rapporto tra capitale e società, tale meccanismo taglia fuori ogni antagonismo specifico; si tratta infatti di un meccanismo che non può essere intaccato da chi subisce gli effetti negativi di tali processi. I popoli subiscono, e non sanno né possono individuare una controparte diretta sul piano sociale ed economico. Tutto si sposta sul piano politico, ma gli stessi referenti politici, apparentemente antagonisti tra di loro ma vittime di una cultura omogenea, non riescono a trovare il bandolo della matassa.
La speculazione finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, crea le occasioni per speculare. Contrastare la speculazione significa solo offrirgli sempre più vitelli da azzannare. Se si imbocca l’autostrada che il bivio ci offre siamo perduti. Il dominio della ricchezza sarà senza limiti (anche se fragile), la lingua maestra sarà quella dell’economia di chi possiede; una casta potente e intoccabile, anche sul piano fiscale, banchetterà su un popolo miserabile. I diritti di cittadinanza un lusso impossibile. Mentre l’antagonista diretto sarà impalpabile, irraggiungibile e deteritorializzato. I peggiori scenari della pessimistica fantascienza sociale si avverranno. Scoppi di rabbia, rivolte, sangue, lotte tra i poveri, regimi di polizia, ma niente rivoluzione e niente riforme progressiste. Tutte conseguenze dirette di un cambiamento nella natura del capitale.
Il viottolo stretto e accidentato ci parla la lingua della politica. Ci dice, prima di tutto, che la speculazione finanziaria va combattuta alla pari, ma meglio, del traffico di droga, questo ammazza i figli quella opprime i popoli. Speculare non deve essere permesso; c’è un mondo di cose e di servizi da fare, non permettiamo che la costruzione di una economia di carta ci tolga il sangue e la volontà. C’è un sistema produttivo da ristrutturare a salvaguardia della salute, dell’ambiente e per la produzione delle cose di cui abbiamo bisogno. C’è una distribuzione equa della ricchezza prodotta da imporre. C’è una dilatazione dei diritti di cittadinanza da ampliare. C’è una piramide sociale da appiattire. C’è da castigare gli speculatori e non da alimentarli. Se niente può essere come prima lo sia davvero, le forze a livello nazionale e internazionale ci sono, anche se disarticolate, ma unirle si può. È ormai chiaro che questo tipo di organizzazione sociale ha fatto il suo tempo.


“il manifesto”, 29 settembre 2011

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