George Orwell nasceva cento anni
fa: immaginò un totalitarismo misero. Ma nel benessere sotto sorveglianza in
cui viviamo oggi, il Grande Fratello è uno show televisivo e la deregulation
investe anche la «polizia del pensiero». L'essere controllati è diventata una
dimensione normale che rimuoviamo.
Durante la cena, il Tg ci mostra
il sospetto che cammina in stazione, o per strada, o in un grande magazzino,
ignaro delle telecamere che lo riprendono. Dopo cena apriamo i messaggi e-mail
che sono già stati setacciati dal sistema di sorveglianza Echelon. Il telefono
cellulare segnala la nostra posizione sempre, anche quando è spento. Sono in
fase avanzata i software che riconoscono le voci, identificano le facce. I
progressi della tecnologia fanno sembrare trogloditici trabiccoli i diabolici
strumenti che George Orwell aveva immaginato nel suo 1984. Ma questa sorveglianza continua, noi la patiamo senza
l'angoscia che descriveva Orwell nella sua utopia negativa (distopia). Le
telecamere non ci tolgono l'appetito, le intercettazioni non ci impediscono di
scrivere in intimità; l'essere sorvegliati - il vivere in pubblico - è
diventata una condizione normale che rimuoviamo. Proprio come nel mondo di
Winston Smith nel 1984: «Dovevate
vivere (e di fatto vivevate, in virtù dell'abitudine che diventa istinto)
presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e
qualsiasi movimento - che non fosse fatto al buio - attentamente scrutato» (ma
noi siamo scrutati anche al buio, dagli infrarossi).
Attualissimo quindi Orwell
(1903-1950) nel centenario della nascita: non ci proclamano ogni giorno che
«Guerra è Pace» (uno dei tre slogan di 1984)?
Non vi richiama nulla «il nemico contingente incarna sempre il male assoluto»?
E non vi fa drizzare le orecchie questo passo: «Nel generale imbarbarimento,
pratiche che erano state abbandonate, in qualche caso per centinaia di anni -
incarcerazioni senza processo, ..., ricorso alla tortura al fine di estorcere
confessioni, ... - non solo ridiventano comuni, ma sono tollerate e persino
difese da persone che si considerano illuminate e progressiste» (corsivi miei)?
Invece della bigotta espressione
«pensiero unico», non vi pare più appropriato il concetto di bipensiero?
«Raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero»,
«dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all'occorrenza essere
pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo.
Soprattutto, saper applicare il procedimento al procedimento stesso». In 1984, un giorno il nemico è Estasia e
l'alleato è Eurasia; il giorno dopo alleanze e ostilità cambiano. Nel 2002 un
giorno il grande nemico è Osama bin Laden, e il grande schermo non parla
d'altro. Il giorno dopo bin Laden è dimenticato e si parla solo di Saddam
Hussein. Ma poi anche Saddam cade nell'oblio.
Eppure, pur fra tanti elementi
orwelliani, a noi non sembra di vivere nello stato totalitario che tanto
angosciava Orwell. La prima ragione è che, se lo scrittore inglese aveva
ragione sul tipo di mondo futuro, sbagliava invece su chi l'avrebbe attuato. Il
soggetto della distopia orwelliana era lo Stato totalitario. Da noi invece a
esercitare i compiti di «psicopolizia» sono per lo più i privati, le forze del
mercato: i nostri dati circolano con le carte di credito, nei moduli degli
acquisti online, nei tagliandi di garanzia dei nostri acquisti, nei telepass
austostradali, nei codici a barre dei tesserini aziendali. «Fino agli anni `90
- coerentemente con l'orwelliano 1984
-, si assumeva ancora che il più grande pericolo inerente alla sorveglianza
informatizzata fosse costituito dallo stato-nazione, mentre la grande impresa
capitalistica era ritenuta una fonte di rischio decisamente secondaria» (David
Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie
di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, 2002). Ma la deregulation
ha investito anche la «polizia del pensiero»: quando i database sono connessi
in rete, «non è più necessario un sistema di sorveglianza centralizzato quale
quello paventato da Orwell». Siamo insomma in piena «sorveglianza postmoderna»:
alla luce del liberismo che ispira l'attuale leader del Labour party inglese,
sembra quasi un'ironia della storia che il vero cognome di Orwell fosse Blair.
Nel 1984 è la Pornosez del Ministero della Verità (Reparto Finzione) a
produrre il materiale che poi «i giovani prolet compreranno di nascosto, con
l'illusione di compiere un'azione illegale»; da noi è il mercato che inonda la
rete con film porno che saranno piratati e masterizzati di nascosto. Non è un
caso se il Grande Fratello è uno show delle tv private (però in inglese Big Brother vuol dire fratello
maggiore).
Il passaggio dal Leviatano
statale alla sorveglianza di mercato produce anche uno slittamento del
registro, dal tragico/gotico all'attuale pulp: le nostre vite scorrono non in
un inferno, ma in un film da quattro soldi. L'equivalente attuale di 1984 sarebbe Matrix, ma proprio nel paragone si legge la differenza tra i due
secoli. Matrix ci appare onirica,
mentre negli anni `50 1984 risuonava
di un suo truce realismo.
Questo declassamento di registro
è dovuto anche al benessere (per quanto relativo) delle società
industrializzate. Lo stato totalitario di 1984
è insopportabile non solo perché la sorveglianza è continua, con il Ministero
dell'Amore (degli interni) sempre in agguato, ma soprattutto perché incombe la
miseria, il «caffè Vittoria» è vomitevole, le sigarette Vittoria sono così
vuote che a tenerle dritte il tabacco cade, il gin Vittoria «emana un odore
nauseante, odioso, che ricorda l'alcol di riso cinese», le case sono
«fatiscenti, con i fianchi sorretti da travi di legno, le finestre rattoppate
col cartone, i tetti ricoperti da fogli di lamiera ondulata» e la vita è «solo
un mesto sgobbare, una lotta al coltello per un posto a sedere in
metropolitana, un rammendare calzini consunti, un mendicare una pasticca di
saccarina, un mettere da parte le cicche di sigaretta».
Il mondo del 1984 è orribile non
solo e non tanto perché la libertà è soppressa, ma perché è immerso in una
lurida, pulciosa indigenza. Ma che effetto fa una progressiva soppressione di
libertà senza indigenza? in fondo il nazismo, fino al 1939, fu proprio questo:
il suo militar-keynesismo fece superare alla Germania la terribile depressione
del 1929-1932 e fu proprio il ritrovato benessere a costituire la sua base di
consenso presso i tedeschi. Certo è che con un buon vino e un gelato saporito,
la dittatura ha tutto un altro aspetto. (Orwell tardò molto, forse troppo, a convincersi
che bisognava combattere la Germania nazista).
Negli anni `60 andai in Grecia
dove regnava la dittatura dei colonnelli. Mi aspettavo carri armati a ogni
incrocio, polizia segreta su ogni traghetto, e invece il paese appariva
pacioso, con libri di Marx nelle librerie, struscio per le strade, ristoranti
pieni: la dittatura c'era, ma io ne avevo un'immagine sbagliata e perciò non la
vedevo. Ci è dipinto un quadro così melodrammatico delle tirannie che non
riusciamo a capire come tanti nostri bravi genitori (o nonni) fossero stati
fascisti o nazisti. La verità è che la libertà di stampa e di espressione si
riduce a poco a poco, la sorveglianza si accentua, la sfera d'indipendenza si
restringe, ma noi continuiamo ad andare al mare d'estate, al cinema la sera, e
il Milan vince la Coppa dei campioni.
In realtà, a rivelarsi transeunte
e, per un certo verso, fuorviante è la categoria di «totalitarismo» - che
Orwell contribuì a plasmare e a propagandare.
Quel mondo, e quel secolo, sono
davvero finiti per sempre. Il 1984 si è concluso nel 1989. Grazie anche al
contributo di Orwell, si è dissolta nel vento quell'Unione sovietica che
incuteva tanto timore, tanto odio, e tanta speranza (ambedue ingiustificati
alla lunga). Tanto che oggi risultano illeggibili libri che allora avevo
divorato: 1984 (finito a fatica) e La fattoria degli animali (che ho
mollato esasperato): e non ho il coraggio di riprendere in mano Omaggio alla Catalogna che all'epoca mi
appassionò. Rimane la straordinaria creatività linguistica di Orwell
(bipensiero, Grande Fratello, neolingua): fu lui a coniare il termine «guerra
fredda». Ma emerge il razzismo («Da un membro del Partito si esigeva un
atteggiamento simile a quello di un antico ebreo»), la misoginia («Erano
infatti le donne - specie le più giovani - a fornire al partito i suoi
affiliati più bigotti, pronte come erano a ingoiare ogni slogan e a fare le
spie dilettanti»). Che poi lo stesso Orwell abbia «fatto la spia dilettante» e
sia stato informatore dei servizi (vedi articolo accanto), mostra che egli
stesso era vittima di quel bipensiero che aveva coniato.
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