13.10.13

1944, Liberazione di Roma. Il Vaticano e la politica italiana (Domenico Del Rio)

Il papa cattolico Eugenio Pacelli (Pio XII)
Il 4 giugno 1944 era domenica. Le truppe alleate cominciarono ad entrare in Roma verso sera. Il mattino dopo, alle 7, una piccola folla si radunò in Piazza San Pietro. Gridava perché il papa si affacciasse. Pio XII venne alla finestra e diede una benedizione, senza dire una parola. Alle 10 la folla era aumentata. Un carro armato americano era entrato nella piazza e si era fermato ai piedi della scalinata della basilica. Alle acclamazioni, Pacelli si affacciò di nuovo. Quando vide il carro armato, allibì. Chiuse la finestra e telefonò immediatamente in Segreteria di Stato perché lo facessero sparire.
Appena il carro armato se ne fu andato, arrivò una jeep. C'era sopra il generale Clark, il comandante delle forze alleate, che si vantava di aver preso Roma dal sud, cosa che non aveva fatto nemmeno Annibale. Riverso sul sedile, contemplava la grandiosa facciata della basilica. Gli si avvicinò un monsignore. Era O' Flaherty, la "primula rossa" del Vaticano, che sotto il naso dei tedeschi e dei fascisti era riuscito, in mirabolanti imprese, a salvare decine di soldati inglesi. O' Flaherty, che lavorava al Sant'Uffizio e la cui storia andrà poi a finire in un film con Gregory Peck, si lamentava che lui, irlandese, dovesse occuparsi della salvezza di fedeli sudditi di Sua Maestà britannica. Si avvicinò, dunque, a Clark. "Generale", disse, "posso esserle utile in qualche cosa?". "Sì, mi indichi la via per il Campidoglio". O' Flaherty si rivolse uno che era lì con la bicicletta e gli disse di fare strada all' americano. E fu così che, su indicazione del Vaticano, il generale Mark Wayne Clark occupò il Campidoglio, preceduto da un ciclista.
Nel pomeriggio, una "folla sterminata", come dicono le cronache, sopra la quale ondeggiavano anche molte bandiere rosse, si trovò in Piazza San Pietro ad acclamare Pio XII, "Defensor civitatis". Pacelli si affacciò alla loggia centrale della basilica e fece un discorso: "Roma, ieri ancora trepidante per la vita dei suoi figli e delle sue figlie...". Dal Vaticano, dai conventi e dai seminari, avevano cominciato ad uscire le migliaia di persone che vi avevano trovato rifugio. Il dar asilo ai ricercati dai tedeschi e dai fascisti era stato, in quei mesi, a Roma, l'azione più diffusa e spontanea degli istituti religiosi. Soltanto per quanto riguarda gli ebrei, secondo una ricerca di Renzo De Felice, almeno 4.000 ne furono ospitati in ambienti ecclesiastici.
Non si trattò soltanto di carità e assistenza cristiana. Alcuni istituti divennero centri di ospitalità di grosso rilievo organizzativo e politico. Tali furono il Seminario maggiore al Laterano, l'Abbazia di San Paolo fuori le Mura, il Seminario lombardo di Piazza Santa Maria Maggiore. Questi due ultimi edifici extraterritoriali della Santa Sede, pochi mesi prima della liberazione di Roma conobbero l'invasione e la perquisizione dei fascisti della banda Koch. Molti dei rifugiati vestivano da preti, mescolati in mezzo ai chierici veri. "Tutti", riferisce un'informativa di ambiente ecclesiastico, "prendevano regolarmente messa, anche i più violenti anticlericali, e 03654 qualcuno, come Ruini, ben noto massone al pari di Bonomi, prendeva anche la comunione". Sull'incursione della banda Koch al Seminario lombardo, narra un rapporto: "Il rettore stava sulle scale con Koch. Cercava di mostrarsi calmo il più possibile. Passò davanti a loro un gruppetto di chierici veri e falsi. "Bravi, andate a scuola!" disse con un accento che nessuno riuscì più a dimenticare. Koch seguì a lungo il gruppo dei falsi chierici, che si sentirono gelare il sangue, e disse sarcasticamente al rettore: "Monsignore, tutti chierici, eh? Tutti chierici dopo l'8 settembre"".
A San Giovanni aveva trovato rifugio quasi l'intero Cln. C'erano poi Ruini, Saleri, De Gasperi, Saragat, Nenni, Bonomi, Casati. Vi si era nascosto il generale Bencivenga, comandante della piazza di Roma, che aveva installato una radio in contatto con Bari. Kappler richiese formalmente alla Santa Sede che Bencivenga uscisse dal Laterano o rinunciasse al comando, alla fine di maggio 1944. Montini, allora Sostituto della Segreteria di Stato, eluse il problema, negando la presenza del generale in San Giovanni (in effetti, Bencivenga si trovava in un palazzo attiguo, sempre extraterritoriale); ma i tedeschi, al momento di abbandonare Roma, spararono un colpo di cannone contro l'edificio in cui il generale aveva trovato asilo. Per gli aiuti finanziari ai rifugiati del Laterano provvedeva l'Istituto per le opere di religione, la banca della Santa Sede. I soldi elargiti dallo Ior provenivano in gran parte dal governo del Sud.
Hugh O' Flaherty
Il Laterano, negli ultimi tempi dell' occupazione tedesca di Roma, con la presenza dei leaders dei partiti, dei membri del Cln e del comandante militare della capitale, si trovò certamente ad esercitare un preciso ruolo politico. E nasceva il rapporto stretto tra la Chiesa e le nuove forze politiche che subentravano al vecchio regime fascista. Un' attività di primo piano, in questo senso, ebbero allora monsignor Ronca, che era il rettore del Laterano, e monsignor Barbieri, dello stesso Seminario, che prese i primi contatti col generale Cadorna e la cui casa, in seguito, divenne luogo d'incontro di leaders politici di ogni colorazione. La "successione politica" in Italia fu un problema che interessò subito i vertici del Vaticano. A grandi linee si potrebbe dire che le preoccupazioni della Chiesa romana, con un'azione dello stesso pontefice e del Vicariato, fu quella di porre anzitutto una base sociale, etica e religiosa al rinnovamento politico.
La grande adunata del popolo romano in Piazza San Pietro, il giorno dopo la liberazione di Roma, aveva anche un significato in questo senso. Quel pomeriggio i romani si ammassarono tra il colonnato del Bernini, quasi a concludere un lungo periodo, durante il quale la Santa Sede e il papa erano rimasti, in Roma, l'unica realtà istituzionale cui fare riferimento. Il Cardinale Vicario, Marchetti Selvaggiani, si incaricò di ricordare espressamente ai romani il "debito" che essi, per la provvidenziale incruenta liberazione della città, avevano contratto con Pio XII. Dal canto suo, papa Pacelli, oltre a dare indicazioni morali per la salvezza della famiglia e della gioventù, condannava coloro che, già in quei momenti difficili, approfittavano per "arricchirsi disonestamente, sfruttando il bisogno e la miseria dei loro fratelli, aumentando infinitamente i prezzi".
Per incidere "cattolicamente" sull' opinione pubblica romana, si pensò in fretta ad accaparrarsi “Il Messaggero”. Se ne incaricò monsignor Ronca, già un mese prima che arrivassero gli alleati, prendendo contatti con i Perrone, che erano i proprietari del giornale e tenendo informata costantemente la Segreteria di Stato. L'accordo fu raggiunto a fine maggio, alla vigilia della liberazione di Roma. Scrive monsignor Ronca: "Il Messaggero uscirà come giornale di notizie con ispirazione cattolica, con il fine di moralizzare le coscienze... la cronaca sarà censurata, ma a fine moralizzatore. Linee politiche: lotta a fondo contro la massoneria, lotta - pur contenuta nella forma - contro il comunismo, collaborazione indiretta alla Democrazia cristiana; per l'Italia non vi è salvezza che nella religione e nell'ordine: appoggiarsi alla Chiesa significa salvare l'Italia. I Perrone accettano ora e dopo tutti i suggerimenti della Santa Sede".
Tre giorni dopo l' entrata degli americani nella capitale, De Gasperi, che evidentemente non era al corrente della trattativa, sferrava su “Il Popolo” un attacco al “Messaggero” per il suo passato filofascista, prendendosi immediatamente un rabbuffo da monsignor Ronca, in nome delle "esigenze del cattolicesimo".
Restava la questione dell'assetto politico italiano. Su questo punto, in un primo tempo non c'è piena convergenza tra i massimi responsabili della politica vaticana. Tardini, che è agli affari straordinari della Segreteria di Stato, e Ottaviani, che è a capo del Sant'Uffizio, sono propensi a considerare una pluralità di forze cattoliche. Ottaviani non vede male nemmeno il gruppo dei cattolici comunisti di Rodano e Ossicini. Montini, invece, appoggia l'idea del partito unico di De Gasperi. A poco a poco è questa la linea vaticana che prevarrà.

Gli ordini di "tenere l'unità" andranno anche al Nord non ancora liberato. David Maria Turoldo, il religioso servita che operò nella Resistenza a Milano, racconta di essere stato chiamato dal vescovo di Bergamo nel 1944. "L'ordine del Vaticano", scrive, "era: totale unità dei cattolici, formazione del partito unico da contrapporre al comunismo; base del partito l' interclassismo, con obbedienza assoluta alla gerachia. Mia obiezione: "E se come cattolico non mi sentissi di condividere l'impostazione?". Risposta: "Lei si metterebbe contro la gerarchia". Dicevo: "Se facessimo due partiti cattolici: uno progressista e l'altro conservaotre, non potremmo ritrovarci tutti nei due schieramenti senza crisi di coscienza?". Risposta: "L'ordine è per un partito unico". Mi provai ad insistere: "Non correremmo così il rischio di travolgere la Chiesa nelle vicende di un partito, di ridurre la stessa Chiesa a livello di un partito?". Risposta: "Prima di tutto l'unità. Roma vuole l' unità a tutti i costi"".

"La Repubblica", 25 maggio 1984

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