13.10.13

Alla fine del «Politecnico» (Franco Fortini – Elio Vittorini)

Con il titolo che ho ripreso (Alla fine del Politecnico) “il manifesto” del 28 settembre 1975 pubblicò una lettera di Elio Vittorini a Franco Fortini dell’ottobre 1947, preceduta da una nota del destinatario. 
I due testi sono poi entrati nel I° volume della silloge fortiniana Disobbedienze, da cui li ho tratti. (S.L.L.)
Franco Fortini
La premessa di Fortini
Molto si viene scrivendo in questi giorni, nel trentennale del «Politecnico» (il primo numero è del 29 settembre 1945, pochi giorni prima che a a Parigi uscisse il primo numero di «Les temps modernes» di Sartre) e in occasione del reprint edito da Einaudi.
Sull'argomento la bibliografia è troppo lunga per aggravarla con interventi d'occasione. Per quanto è di Vittorini, poi, si tornerà a parlare certo di lui organizzatore di cultura, con miglior fondamento di quaanto oggi si faccia, quando si abbia la pubblicazione, annunciata, del suo epistolario. Contro chi oggi se lo annette quale «compagno di sempre» come contro chi gli fa lezione di istituzioni marxiste alla moda dell'anno corrente, mi pare che quanti allora collaborarono con lui meglio facciano rinviando alla lettura diretta della rivista.
La lettera che Vittorini mi indirizzò (fino a due mesi prima vivevo a Milano e ci si vedeva quasi tutti i giorni) precede di poco la comparsa dell'ultimo numero del mensile. Ero a Ivrea, impiegato alla Olivetti (la «direzione» di cui parla la lettera). E il titolo che suggerisce e che accettai è sulla linea di quello che avevo dato (Biographie d'un jeune bourgeois intellectuel) a uno scritto autobiografico comparso in settembre nel numero di «Les Temps Modernes» dedicato all'Italia (n.23-24) e il cui sommario era stato concordato in casa di Vittorini. Elio non considerava affatto l'ipotesi della fine del periodico se pensava di chiedere, il 5 di novembre, la collaborazione di Giacomo Noventa. Gli scriveva: «Perché non ci spieghi, in uno studio, o una serie di studi, che cosa sia Pareto e quale sia stata (o "possa ancora essere") la sua influenza in Italia? Il lavoro che Gramsci ha svolto per qualche punto è da svolgere per punti infiniti... C'è persino un Giustino Fortunato di cui ancora sbrigarsi. Ma Pareto, Pareto, Pareto!!!». Noventa, il poeta e il saggista cattolico che la sinistra italiana con allegra ignoranza ha regalato alla destra: ecco a chi si rivolgeva Vittorini, perché scrivesse di uno che, con Croce e Gentile, Noventa chiamava gli autori delle «teorie del fascismo prima della guerra Etiopia». È vero che aggiungeva:«Vorrei solo che tu evitassi, per la delicata posizione politica in cui "Politecnico" si trova, degli argomenti esplicitamente politici...».
Qualche giovane provi ad ascoltare il timbro della lettera di Vittorini. Non vi parla di me ma di se stesso e dell'allora, di un modo di pensare progettare occuparsi del destino dei compagni e degli amici che oggi sembra tanto più lontano quanto più era ancora vicino agli anni del rischio e della morte. In che misura il trentenne che ero abbia saputo guardarsi dai pericoli di cui Elio parlava con tanta lucidità da far credere, oggi, che parlasse per il se stesso avvenire, quello del «Menabò» («il nostro contatto... con la cultura autocritica della borghesia»), non sta a me dirlo. (Credo di averlo fatto, nella sostanza). Mi basta qui indicare lo spazio grande della sua fraternità e intelligenza. «Gli uomini del 'questo e quello'»... Non è meno difficile e doveroso oggi di ieri.


La lettera di Vittorini
Milano 27 ottobre 1947
Franco Fortini c/o Olivetti S.A.
Ivrea (Aosta)

Mio caro Franco,
il tuo articolo Rivoluzione e Conversione mi sembra molto buono. Ottimo. Anche Vergogna della Poesia è un buon articolo. Il primo (migliore del secondo) avrebbe meritato di essere più sviluppato causa l'importanza della questione che tocchi. Ma puoi tornarci su un'altra volta. Solo vorrei avvertirti su certi pericoli. Ti sei messo a fare dei periodi lunghissimi che ingarbugliano un po' il tuo pensiero. Inoltre continui ogni tanto nel vecchio verso delle citazioni non in italiano, e nell'ornamento di parole dotte, non però tecniche (non dunque necessarie). Di tutto questo ti avverto per il seguito della tua collaborazione. Non voglio farti perdere tempo a correggere gli articoli già pronti. Tempo non ce n'è. Non abbiamo tempo, di fronte alle cose che accadono, di correggere il già fatto. Occorre correggerci nel fare quello che segue. Caro Franco, le nuove posizioni di lotta sono certo più impegnative, e certo noi dobbiamo portarci su di esse, ma non per questo occorre lasciare da parte niente di quello che si può riassumere, come esperienza comune, nel lavoro che abbiamo chiamato «Politecnico». Solo che occorre svolgere tale lavoro più tempestivamente e, nello stesso tempo, più criticamente, più analiticamente, più seriamente.
A proposito, mi sembra di doverti avvertire anche su un altro pericolo che tu a volte corri. Quello di metterti in posizione di scelta. (Anche dialetticamente; nel ragionamento; e lo fai anche a un certo punto nel tuo ultimo articolo). La posizione di aut aut. In una posizione simile un protestante (come tu sei in effetti, e come io sono in potenza) finisce fatalmente per fare il gioco della reazione. Tutto quello che gli è culturalmente più caro si trova protetto (in apparenza) dallo schieramento reazionario, ed egli sa bene che quello è lo schieramento reazionario, ma accetterà di schierarsi con la reazione come Socrate accettò la cicuta, come gli stoici accettavano la morte. Questo non toglie che accetta la reazione...
Non bisogna, Franco. Non dobbiamo nemmeno dirci «questo o quello». Dobbiamo essere gli uomini del «questo e quello». Cioè della nuova posizione di azione e allo stesso tempo della nuova posizione di coscienza. Noi dobbiamo fare di tutto perché la nuova posizione di azione non ci riporti alla vecchia posizione di coscienza (al marxismo di prima di Gramsci ecc.). Anzi, dobbiamo far sì che la nuova posizione di coscienza diventi in assoluto la coscienza della nuova posizione di azione. E persino che il nostro contatto (Politecnico) con la cultura autocritica della borghesia diventi vantaggioso per la nuova posizione d'azione. In particolare questo discorso vale per il tuo Diario dei trent'anni.
Fai attenzione nell'andare avanti. Può sembrare qua e là che tu cerchi di mediare. E oggi non si tratta di mediare. Tu oscilli tra una valutazione operaistica-razzistica dell'operaio (da intellettuale che si sente in colpa) e una condiscendenza al senso comune (sia morale che razionale) come te lo trovi suggerito dai dirigenti d'azienda. Se da un lato cadi nel misticismo, dall'altro ti presti a una funzione di riformista: quella classica a cui la borghesia vuol limitare il socialismo, e di cui ogni buon borghese dirigente vorrebbe investire ogni intellettuale progressivo che gli presta il proprio lavoro. È questo che si sente qua e là nel tuo diario.
E io ti dico attenzione non per il tuo diario. Te lo dico per te stesso e per tutto quello che tu puoi essere intellettualmente. Guardati, cioè, dalla «direzione». E fai che Ruth ti aiuti a guardartene. Non meno che a guardarti da quell'altro estremo, il mistico. Per il Diario ti proporrei come titolo, Diario di un piccolo borghese. Così tu vi prenderesti una posizione autocritica e saresti marxisticamente giustificato per tutto quello che dici. Ma, si capisce, dovresti essere tu ad assumertelo, un titolo simile: e continuare in funzione di tale titolo. Mica dovrebbe essere la rivista a dartelo. Poi, per indulgenza verso la nostra impaginazione, ti sarei grato se per ogni capoverso mettessi un sottotitolo. (Dopo aver scritto il capoverso, naturalmente). Per il tuo lavoro (a parte il Dante e Manzoni) vorrei suggerirti: 1) Una tua analisi dello scritto di Gramsci che tanto ti è piaciuto in «Società». Una tua analisi che sostituisse in «Politecnico» quel testo in sé così adatto a «Politecnico» - e con le citazioni essenziali incluse - senza rimandi a «Società». Parlo di Avviamento allo studio della filosofia eccetera. Era questo che tu dicevi o no? 2) Un tuo saggio sulla questione da me accennata nel cappello all'articolo di Del Buono sul romanzo nero. Credo che tu te la senta molto. Che sia anzi una questione tipicamente tua. Il resto proponi tu stesso.
Ma vieni a Milano per parlare un po'. Io ora ci sono fino al 3 novembre compreso.
Molti cari saluti insieme alla Ruth e anche da Ginetta.
tuo Elio
Stiamo preparando un blocco di articoli su Cervantes e uno su Faulkner. Vorrei sapere se ti interessa scrivere su questi due argomenti. Ma dovresti dirmi su quale testo in particolare. Vorrei che il lavoro venisse fuori organico.
Ti mando a parte l'Ungaretti. Ma questo significa che scriverai un saggio su Ungaretti, non è vero? Un saggio, come è detto a proposito di Kafka, ma già «civile» non soltanto letterario... Non mi mandare al diavolo.
Circa il nostro lavoro per l'antologia svizzera, mi hai mandato una lista di nomi, (ci penso io - pensi tu - ) ma non mi dici né i passi che hai scelto, né che cosa debbo chiedere scrivendo ecc.

Franco Fortini, Disobbedienze, I. Gli anni dei movimenti 1972-1985, manifesto libri, 1997



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