23.10.13

"Bevitori di sangue". Un coro unanime contro i rivoluzionari (Raul Mordenti)

Un articolo di Raul Mordenti, del 2006, che a me pare, nella sua brevità e secchezza, assai efficace nel mostrare alle radici la falsa coscienza che alimenta l’unanime coro contro le rivoluzioni e i rivoluzionari. (S.L.L.)
Un ritratto di Robespierre
Rossana Rossanda non ha bisogno di essere difesa dalle scomposte contumelie che hanno accolto il suo articolo su Mao, da Battista a Moscato, cioè dal Corriere della Sera fino (ahimé!) a Liberazione; bastano a difenderla la sua biografia e, ancor più, il lavoro che quotidianamente svolge per leggere i fatti orrendi del nostro mondo come umani problemi.
Riguarda invece la sinistra il fatto che un giornale che si definisce «comunista» risponda al pacato invito di Rossanda a riflettere senza demonizzazioni sul massimo rivoluzionario della seconda metà del Novecento con un articolo come quello di Antonio Moscato. Mao era come Stalin, cioè era molto, ma molto cattivo; lo dicono anche dei libri governativi e filo-occidentali che Moscato utilizza. Apprendiamo così che la Rivoluzione culturale trattò assai male Liu Shaoqi e sua moglie, che provocò un sacco di morti e che la cattiveria di Mao si spinse fino al punto di non guarire il suo amico fedele Ciu Enlai...dal cancro (sic!). Domando: si può ragionare così di storia? Si può ragionare così di rivoluzione? Moscato peraltro non è nuovo a queste imprese: ricordo la sua disinvolta partecipazione a un'indecente campagna contro Cuba della lobby confindustrial-militare che fa capo alla rivista Limes.
Di ben altro livello la riflessione sull'esperienza cinese che Rossanda propone, e non da oggi: si veda il buon libro sulla Rivoluzione culturale a cura di Tommaso Di Francesco, L'assalto al cielo, pubblicato da Manifestolibri. Quella rivoluzione fu il primo tentativo di fare davvero i conti con il fallimento dell'Ottobre, mettendo in discussione l'idea del socialismo come «elettrificazione più Soviet» (cioè come rigorosa accumulazione capitalistica «a direzione proletaria») ma anche, ed era scelta ancora più impervia e originale, cercando di superare il nesso leninista partito-classe-Stato, che comportava nuove ferree gerarchie sociali e una terribile passivizzazione delle masse.
Quel tentativo è stato sconfitto, Deng ha vinto (per ora, aggiungerebbe Mao) e noi capiamo solo adesso, vedendo l'orrore del capitalismo reale a direzione Pcc, che Mao non esagerava affatto dicendo che la lotta in Cina era fra il comunismo e la restaurazione del capitalismo. Ma la domanda è: ha qualcosa da dirci e da insegnarci il tentativo di Mao? Può prescindere da quella lezione il tentativo di ripensare la rivoluzione in Occidente che, se vorrà essere, dovrà anzitutto saper coniugare comunismo e democrazia diretta?
Per poterne discutere seriamente occorre però sbarazzarsi una volta per tutte dai ritornelli scemi sulla cattiveria dei rivoluzionari e sul gran numero di morti delle rivoluzioni. Questo modo un po' untuoso, che Gramsci definirebbe «brescianesco», di giudicare le rivoluzioni, degli altri, conduce (ne siano coscienti o no le «anime belle» à la Moscato) a liquidare non solo Mao e Stalin ma anche Lenin e Gramsci e tutta l'esperienza comunista, e anzi ogni e qualsiasi rivoluzione, a cominciare da quella francese. L'argomento della cattiveria dei «bevitori di sangue» (Robespierre) non è stato forse per secoli usato a impedire il contagio della Bastiglia?
Ragionando così si salva solo madre Teresa di Calcutta.
Il coro unanime e assordante contro le rivoluzioni è tuttavia falso in radice, giacché esso rimuove semplicemente (senza neppure avere l'onestà di confessarselo) la necessità della rivoluzione, cioè rimuove l'essenziale, che consiste appunto nel numero di morti che il non fare la rivoluzione avrebbe provocato ieri e provoca oggi; e come i contro-rivoluzionari di ieri occultavano i morti della schiavitù ancien régime, così quelli di oggi occultano i morti che senza le rivoluzioni avrebbero fatto fame e carestie in Cina, terrore bianco e nazifascismo in Russia, la schiavitù statunitense a Cuba, e quelli provocati ogni giorno che passa, ovunque, dal dominio del capitale (non solo dalle guerre capitaliste). Per questo chi non si oppone allo stato di cose presente, si chiami pure madre Teresa di Calcutta, non è affatto innocente.
Un grande rivoluzionario russo, che pure aveva qualche legittimo motivo di risentimento, quindici anni dopo l'Ottobre rispondeva a chi gli chiedeva se «i risultati della rivoluzione» avessero giustificato tante sventure, la guerra civile e le vittime:«Con lo stesso diritto, di fronte alle difficoltà e alle afflizioni di una esistenza individuale si potrebbe chiedere: vale la pena di venire al mondo? (...) I popoli cercano nella rivoluzione una via d'uscita a pene insopportabili».


“il manifesto”, 19 giugno 2006

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