26.10.13

Luciano Canfora. Potere, democrazia, rivoluzione (di Lanfranco Binni)

Lo strabismo analogico e il coraggio della storia
Hanno fatto il deserto e l’hanno chiamato democrazia. La democrazia è la lotta per la democrazia. Sono i temi centrali dell’Intervista sul potere di Luciano Canfora, a cura di Antonio Carioti, Editori Laterza, 2013.
All’analisi del «meccanismo elitario del potere» Canfora ha dedicato studi assidui, con un’attenzione particolare alle dinamiche continuità/mutamento nelle esperienze rivoluzionarie dell’Ottocento e del Novecento. La “democrazia”, istituita nell’Atene dei liberi e degli schiavi, è un processo conflittuale, è la lotta per il superamento dell’oligarchia. Ma sono le tradizionali dinamiche di potere, anche nelle fasi di rottura rivoluzionaria, a svolgere un ruolo determinante nei processi storici. Certo, nelle fasi rivoluzionarie (in Francia, in Unione Sovietica e nei paesi dell’est europeo, in Cina) si sperimentano percorsi di ampliamento della base sociale del potere politico ed economico, ma le dinamiche di continuità si riaffermano sistematicamente sul mutamento, coniugandosi con i retroterra nazionali. È la storia del socialismo nell’Unione Sovietica di Lenin e di Stalin, è la storia della “rivoluzione fascista” in Italia, del “socialismo nazionale” in Germania, del «nazionalsocialismo» (la definizione, folgorante, è di Canfora) nella Cina post-maoista. La storia richiede un esercizio continuo di attraversamento della complessità, con il coraggio dello «strabismo» (guardare contemporaneamente al passato e al presente) e del pensiero analogico (assumersi il rischio delle connessioni tra dinamiche molto distanti e diverse, apparentemente contraddittorie).
Il colloquio si svolge tra un intellettuale comunista, storico di formazione filologica classica, e un giornalista di cultura liberista. Con sapiente ironia e in dialogo con il lettore, Canfora risponde alle provocazioni “comuni” dell’intervistatore (sulle nefandezze del giacobinismo e del comunismo, sulle magnifiche sorti e progressive dell’impresa e del mercato), e traccia il proprio percorso, anche autobiografico, di storico e politico. La questione centrale per Canfora, fin dal 1956, è l’analisi delle dinamiche di potere durante e dopo le crisi rivoluzionarie. Da Budapest all’Atene di Pericle. Dalla “democrazia” ateniese alle “democrazie popolari”, passando per la Francia del 1789-1815: «I giacobini facevano molta confusione, usavano Plutarco e Tito Livio come una sorta di Bibbia su cui giurare. […] A loro volta i bolscevichi avrebbero tratto gran parte del loro lessico dall’esperienza francese, accusandosi reciprocamente di essere bonapartisti o termidoriani. […] ritengo che trarre ispirazione da alcuni segmenti dell’esperienza antica per giungere a una visione politica avanzata non sia una forzatura arbitraria». Sui modelli di democrazia diretta aggiunge: «Erodoto non fu creduto quando raccontò che il notabile persiano Otanes voleva introdurre la democrazia nel suo paese. Gli Ateniesi avevano pensato che fosse un’impresa impossibile, perché si trattava di un impero troppo vasto. Il modo di superare quella difficoltà ai bolscevichi parve essere l’attribuzione di poteri a un reticolo diffuso di consigli operai e contadini, i soviet. L’esperienza della democrazia consiliare, in nome della quale venne compiuta la rivoluzione d’Ottobre, si esaurì presto; resta il fatto che nacque come tentativo di adattare al tempo presente il sistema assembleare: come dire, la ‘democrazia diretta’ dell’antica Atene».  
E’ un esempio significativo dello strabismo analogico con cui Canfora passa in rassegna le tematiche del presente, scavando nel loro retroterra storico-culturale e assumendosi la responsabilità del giudizio storico e politico sugli scenari a venire: la crisi irreparabile della democrazia rappresentativa, la catastrofe della “Fortezza Europa” a egemonia tedesca, il “tramonto” dell’Occidente, l’inevitabile conflitto tra Cina e Stati Uniti d’America. Per venire al paesaggio italiano (marginale nello scenario mondiale), l’agonia di un potere oligarchico perennemente straccione, l’agonia di una “sinistra” compatibile e servile, il deperimento delle istituzioni “democratiche”, lo smantellamento dello Stato sociale, la distruzione della scuola pubblica e dell’Università, la debolezza delle élites intellettuali indispensabili a qualunque processo di reale cambiamento.
Ma allora? chiede allarmato l’intervistatore appellandosi agli “ideali di libertà”. La risposta di Canfora è lucidamente implacata: «L’antica prevalenza delle oligarchie […] nel tempo ha avuto le declinazioni più variabili, senza mai scomparire. Che oggi riappaia dopo due secoli di lotte democratiche memorabili […] pone problemi molto gravi. Ed è ingenuo pensare di poter trovare facilmente un rimedio, anche perché molte soluzioni sono state messe alla prova e hanno rivelato limiti insuperabili. Faccio solo un esempio: alla fine della Prima guerra mondiale l’ipotesi consiliare o sovietista, fondata sul primato delle assemblee operaie, ha esercitato un fascino straordinario, da Torino a Düsserdolf e fino a Budapest, ma è poi rapidamente appassita, perché ha dato luogo ad altre forme di oligarchia. […] A mio parere, il luogo dove le tendenze oligarchiche dominanti possono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo della formazione e della scuola. […] È lì che l’educazione antioligarchica, su base critica, può farsi strada».
Insomma l’eccezione alla regola, dalla rivoluzione del 1789 in poi, è la lotta per la democrazia e per il socialismo, con la consapevolezza della necessaria conoscenza, senza rimozioni né autocensure, senza semplificazioni, delle esperienze storiche («Se non conosce il passato del mondo in cui vive, il cittadino diventa un suddito»). Perché la prossima fase rivoluzionaria, che sarà planetaria, prodotta dalla crisi strutturale del capitalismo globalizzato, possa declinare in termini più avanzati la teoria e la pratica della democrazia e del socialismo. La storia non finisce mai.


“micropolis”, settembre 2013

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