14.11.13

Federico da Montefeltro. Armi e denari (Walter Tommasoli)

Il brano che segue è parte di un ampio “speciale” pubblicato da “L’Espresso” a mo’ di presentazione delle manifestazioni che si svolsero a Urbino e in altre città dell’antico ducato di Montefeltro tra il 1981 e il 1982, in occasione del quinto centenario dalla morte del suo fondatore, Federico, avvenuta nel 1482. Nelle pagine che ho ritagliato e conservato manca l’indicazione della data, ma più di un indizio fa pensare a giugno (o luglio) del 1981. Perché il lettore abbia un’idea si può quantificare intorno ai 500 euro attuali il valore del ducato, ferme restando le generali considerazioni dell’ottimo Tommasoli. (S.L.L.)
Ritratto del Duca. Bassorilievo
Pesaro, Museo civico
« ...dei denari non feci mai stima alcuna, se non per spendere... »: così scriveva Federico da Montefeltro nell'ottobre 1469 al suo residente a Milano Camillo de' Barati perché sollecitasse presso Galeazzo Maria Sforza il pagamento di una rata arretrata del suo contratto militare. E' uno dei rari momenti in cui il Signore di Urbino si apre in un documento ufficiale: egli considera il denaro come mezzo per tradurre in atto il suo desiderio di dare un'ampia testimonianza creatrice consona al suo tempo. Questo del guadagni del Montefeltro è uno degli aspetti meno trattat dalle pur numerose biografi che nel corso dei secoli sono state scritte su di lui.
Si sono sempre messi in rilievo le opere realizzate ad Urbino e negli altri centri del ducato, l'enorme attività edilizia civile e militare, la sua biblioteca, i suoi arazzi, senza mai soffermarsi su quelle che realmente furono le sue fonti di guadagno. Eppure i due aspetti, quello del principe munifico e illuminato e quello del capitano d'armi, non possono e non debbono essere disgiunti, sia perché si completano a vicenda, sia perché entrambi concorrono a meglio spiegarci la pienezza e il vigore della sua avventura terrena.
Prendendo infatti in esame le sue condotte noi ci accorgiamo come, nel volger degli anni (dal luglio 1444 in cui prende li potere dei Ducato, fino al 1482, anno della morte), il suo nome divenga sempre più famoso e di pari passo cresca il suo valore nel mercato instabile e difficile delle armi mercenarie. Per oltre trent'anni fu capitano generale del Regno di Napoli, prima con Alfonso il Magnanimo, poi con Ferdinando d'Aragona e in questo gravoso incarico mostrò doti di ottimo diplomatico oltre che di uomo d'anni. A questo aggiunse poi il titolo di capitano generale della Lega Italica; di gonfaloniere di Santa Romana Chiesa con tre papi (Pio II, Paolo II, Sisto IV) e, talvolta, condottiero del Medici e degli Sforza.
Il suo tirocinio militare era cominciato prestissimo: all'età di quindici anni aveva ottenuto dal padre Guidantonio il permesso di comandare la compagnia feltresca che era rimasta priva del suo capitano per la morte di Bernardino degli Ubaldini. Visse questa sua prima esperienza alla scuola di Niccolò Piccinino continuatore della tradizione braccesca; da essa trasse l'arte del temporeggiare, la cautela delle decisioni da prendere con la ragione più che con l'istinto. Passato poi a militare con Francesco Sforza erede della tradizione paterna, vide e imparò la tattica e la strategia di un capitano che sulla forza dell'assalto improvviso e intelligente basava il suo modo d'intendere la battaglia. Federico ebbe poi la capacità di fondere le due scuole e di creare un suo modo di combattere che si basava sul canto temporeggiare della prima scuola e sulla spontaneità guidata della seconda. Una particolarità tuttavia caratterizzò sempre il suo agire: il rispetto per la vita dei suoi soldati che in gran parte erano anche suoi sudditi. Nacque cosi e si sviluppò la sua scuola di guerra che ebbe per allievi i giovani delle più potenti famiglie nobili italiane e che diverranno i condottieri degli eserciti italiani e stranieri dalla guerra di Ferrara in poi. Inoltre la quotidiana lettura degli storici e dei teorici della politica e dell'arte militare, contribuì a fare di Federico da Montefeltro uno dei condottieri più quotati e ricercati dei suoi tempi.

Le lucrose condotte percepite fecero affluire nelle casse ducali un vero e proprio rivolo d'oro che diffuse per tutto il Ducato, nella seconda metà del secolo XV, un periodo di prosperità mai più raggiunta. Vespasiano da Bisticci, vissuto alla corte urbinate per lunghi periodi e autore di una breve ma interessante biografia di Federico da Montefeltro, afferma che «Urbino è città senza mendicanti»; questa affermazione è credibile e fotografa la piccola capitale del Ducato che si trasforma da grosso borgo medioevale in una città in cui intorno al magnifico palazzo ducale, vanno sorgendo i palazzi dei cortigiani del principe, il duomo e tutta una architettura minore, civile e militare, sui nuovi modelli rinascimentali portati o creati per la città e per il Ducato da Luciano da Laurana e Francesco di Giorgio Martini. Nasce, al contempo, un gran numero di rocche: fatte sorgere nei punti strategici del Ducato esse rispondono ad un preciso disegno di Federico da Montefeltro che vuole in tal modo rendere sicuri i suoi territori e divenire padrone delle strade che vanno verso Roma, verso la costa, verso la Toscana. I suoi enormi guadagni gli permettono di impostare e, in gran parte, portare a termine questi piani: come media egli introita dai 40 ai 50 mila ducati d'oro annualmente: questo calcolo deriva dalla media fra gli iniziali 15-20 mila ducati e l'ultima condotta stipulata nel 1482 con Napoli, Milano e Firenze che è di 120.000 ducati per anno. Non è facile tradurre in termini monetari attuali queste cifre guadagnate dal Montefeltro: si deve infatti calcolare una circolazione monetaria molto ristretta rispetto ai nostri tempi il che naturalmente dava al denaro un valore molto superiore. Ribadendo quindi la labilità di questi calcoli, possiamo però fissare in almeno 150 mila lire attuali il valore di un ducato d'oro. Moltiplicando quindi questa cifra base per gli introiti derivanti dalle condotte è facile comprendere quale fu l'entità delle entrate; che s'aggiungevano al normale "bilancio" del Ducato. Naturalmente la raggiunta posizione di Federico, negli anni Settanta, di "oraculum totius Italiae" fa nascere per il piccolo Ducato impegni nuovi. Sorge così e si sviluppa la Corte del principe dove si muovono ed agiscono tutte le mentì più aperte ed alacri che, dall'esempio del duca, traggono motivo per essere all'altezza dei nuovi tempi. Federico, cresciuto alla scuola di Vittorino da Feltre, incoraggia ed aiuta il formarsi di questi quadri dai quali escono uomini d'arme valorosi e ricercati, astuti diplomatici, alti prelati che, in seno alla Curia romana, hanno modo di servire con gli interessi della Chiesa, anche quelli del loro principe. Questo clima culturale creato da Federico, offrirà poi l'occasione di scoprire il loro genio a Donato Bramante e a Raffaello, nonché porterà al dispiegarsi delle pagine del "Cortegiano" di Baldassarre Castiglione.

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