16.11.13

Il cervello del gerarca nazista (di Jack El-Hai)

Riprendo qui un ampio stralcio da un articolo di un giornalista scientifico americano che insegna scrittura creativa al Bennington College, autore – qualche anno fa – di un libro sui nazisti e la psichiatria, tradotto e pubblicato nel sito della rivista “Le scienze”  il 9 novembre 2013. La versione originale era apparsa su brainblogger.com l'8 ottobre scorso. (S.L.L.)
Il gerarca nazista Robert Ley guida la visita in una fabbrica tedesca
del duca Eduardo di Windsor, già re d'Inghilterra (1937)
Sei anni fa, mentre facevo una ricerca sulla vita di uno psichiatra americano che studiò i principali capi nazisti durante la detenzione e il processo di Norimberga, trovai fra gli oggetti di sua proprietà una piccola scatola. La scatoletta conteneva diverse lastre fotografiche, ciascuna delle quali mostrava una sezione trasversale di un cervello. Le etichette sulle lastre indicavano come ex proprietario del cervello un certo Robert Ley.
Il nome di Ley era comparso spesso durante la mia ricerca. Dal 1933 fino alla fine della seconda guerra mondiale, aveva diretto il Deutsche Arbeitsfront (DAF), un dipartimento del governo nazista che sovrintendeva alla vita lavorativa dei cittadini del Terzo Reich. Non riuscivo a immaginare in che modo le immagini del suo cervello fossero finite in mezzo ai documenti personali e professionali dello psichiatra, il dottor Douglas M. Kelley. Col tempo l'ho scoperto. E la storia del destino del cervello di Robert Ley che ho ricostruito rivela molto sull'interpretazione dei test psicologici che Kelley somministrò a Ley e agli altri capi nazisti.
Maggiore dell'esercito americano, durante l'estate del 1945 Kelley era arrivato a Norimberga con l'ordine di valutare l'idoneità mentale dei leader nazisti a essere processati per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Oltre a questo, però, Kelley si era prefisso un compito più ambizioso.
Avendo accesso illimitato a uomini considerati i peggiori criminali del XX secolo, sperava di trovare un filo psicologico comune che collegasse i prigionieri, una "personalità nazista" che potesse spiegare i loro efferati misfatti. Se Kelley fosse riuscito a identificare un disturbo psichiatrico o un insieme di tratti psicologici condiviso dai nazisti, sarebbe stato in grado di isolare le altre persone capaci di commettere crimini orribili che si trovano in mezzo a noi.
Per  valutare i prigionieri nazisti, Kelley li intervistò lungamente, ma usò anche una batteria di test psicologici da poco venuti in auge, puntando particolarmente sul test di Rorschach, che aveva già usato e sostenuto negli Stati Uniti fin dagli anni trenta. Nel test di Rorschach si mostrano ai soggetti immagini di macchie d'inchiostro astratte. Proiettando nelle immagini le loro fantasie e i loro bisogni, i soggetti descrivono ciò che vedono. Kelley era stato uno più esperti e abili interpreti americani del test di Rorschach.
Il test di Rorschach fu somministrato a quasi tutti i 22 gerarchi nazisti in procinto di essere processati dal tribunale militare internazionale di Norimberga […] I risultati più sorprendenti furono però quelli di Robert Ley, che sbagliava i nomi dei colori, offriva descrizioni confuse e dava risposte incongrue e prive di senso. Kelley avanzò una diagnosi di danno cerebrale al lobo frontale di Ley, anche se gli esami fisici del prigioniero non avevano rivelato alcun segno della presenza di problemi neurologici. Per Kelley, le frequenti esplosioni di rabbia di Ley in carcere e il suo discorrere illogico rappresentavano un'ulteriore prova di una lesione al lobo frontale. Unico tra i nazisti incriminati, Ley avrebbe potuto godere di una dichiarazione di incapacità mentale, ma il medico non aveva modo di confermare con sicurezza la sua diagnosi.
Niente da fare, almeno fino a quando Ley non si suicidò nella sua cella il 24 ottobre 1945. Si soffocò con l'orlo di un asciugamano, la cerniera della giacca e il tubo del suo gabinetto. Kelley dichiarò che Ley “mi ha fatto un singolare favore personale, perché il suo era l'unico cervello che ho sospettato avesse un danno organico”. Kelley chiese a un collega di rimuovere il cervello dal corpo di Ley e lo trafugò da Norimberga per consegnarlo nelle mani di un amico, Webb Haymaker, un rinomato neuropatologo dell'istituto di patologia dell'esercito a Washington, DC.
Kelley chiese a Haymaker di esaminare il cervello per rilevare i segni del danno al lobo frontale che aveva diagnosticato. Haymaker lo fece e identificò “un processo degenerativo di lunga data ai lobi frontali” proprio nella regione in cui Kelley aveva previsto la lesione. […]
Kelley si rallegrò, ma fu una soddisfazione di breve durata. Haymaker non aveva concluso il suo lavoro con il cervello di Ley. Due anni dopo, in cerca di un altro parere, inviò i campioni dell'organo ai patologi della Langley Porter Clinic, a San Francisco. L'esame non produsse alcuna chiara evidenza di un danno al lobo frontale. In una lettera a Kelley, Haymaker comunicò la brutta notizia che anomalie cerebrali di Ley "erano di portata minore rispetto a quanto abbiamo creduto in un primo momento. Personalmente, penso che forse faremmo meglio a mettere una pietra su tutto, dato che il grado di cambiamento [nel cervello] potrebbe essere oggetto di opinioni divergenti”.

A quel punto, lo studio dei gerarchi tedeschi aveva già provocato a Kelley un discreto stress. I nazisti non condividevano significativi tratti psicologici ed erano normali, aveva concluso. Non c'era una personalità nazista. In difficoltà di fronte al suo stesso verdetto, Kelley rivolse le sue energie alla criminologia, ma cadde in una spirale di alcolismo, dipendenza dal lavoro ed esplosioni di rabbia. Si tolse la vita nel 1958 ingerendo del cianuro, proprio come il suo soggetto preferito, Göring, aveva fatto una decina di anni prima a Norimberga.

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