7.11.13

Massimo Mila e i suoi maestri (Daniele Mastrangelo)

È un sentimento di libertà conquistata quello che accompagna l’uomo ogni volta che può rivolgere ad altro suo simile, vivo e operante, la parola: ‘maestro’.
Questo sentimento è la tonalità d’impianto che attraversa la raccolta postuma degli Scritti civili di Massimo Mila (a cura di Alberto Cavaglion, Il Saggiatore, pp. 384, € 22,00): la testimonianza di un uomo libero non soltanto per l’autonomia di giudizio, la coerenza, il rifiuto della retorica in essi profusi; ma, ancor prima, per l’indipendenza con la quale l’autore riconosce e racconta i suoi maggiori e, insieme, il proprio apprendistato.
Quanti conoscono il Mila più noto, lo studioso di fatti musicali, troveranno in queste pagine la radice che alimentava quegli studi speciali; inoltre la presente ristampa offre alcuni scritti sparsi, nella sezione ‘Musica e Cultura’, che mancavano nella prima edizione del libro (Einaudi, 1992).
Quali furono allora i maestri di Mila? In ordine non casuale si possono restringere a quattro: Augusto Monti, Croce, l’esperienza partigiana con i suoi compagni di lotta e la prigionia.
Dal primo di questi, dall’amato professore del D’Azeglio, Mila impara la necessità di «stare nei termini delle questioni, senza cedere alla comodità di spiegazioni dall’esterno», impara il rifiuto della complicazione e dello scrivere oscuro, fa sua la polemica contro il ‘letterato’, ovvero contro «gli esteti puri che proprio sul loro terreno facevan di solito cilecca e rivelavano i loro limiti poetici, estetici», poiché privi «di interessi umani, e magari politici e sociali».
Nel 1929, al primo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino, si unisce alla scoperta dell’Estetica di Croce anche quella del carcere e per ragioni non troppo distanti: Mila sottoscrive una lettera di solidarietà al filosofo in seguito al suo noto e isolato discorso contro i Patti Lateranensi.
L’iniziazione è oramai avvenuta e dopo un mese e mezzo di carcere Mila è in un certo senso già antifascista seppure lo stile con il quale racconta queste prime esperienze inclini piuttosto al picaresco. Come avventurosa e perfino sportiva è la prima collaborazione a Giustizia e Libertà: «portavo pacchi, diffondevo manifestini, attraversavo la frontiera a piedi, in sci e in treno tutte le volte che Ginzburg me l’ordinava».
Nel 1935 un nuovo arresto, questa volta a seguito della delazione di Pitigrilli all’Ovra, Mila viene condannato a sette anni di carcere. Alla vita, alle abitudini dei reclusi antifascisti sono dedicate tante pagine di questi scritti: Mila racconta soprattutto le esperienze altrui, come quelle di Ernesto Rossi e Riccardo Bauer, mentre alla personale aneddotica carceraria quasi non concede spazio. Se si va oltre il racconto però, si può intuire come il IV braccio di Regina Coeli trasfiguri nel corso degli anni in un luogo della mente, in uno spazio immaginario dove tornare per poter distillare la realtà e i problemi che essa pone, proprio come nei primi anni quaranta «ci fu un solo osservatorio in Italia dal quale la vista non fu mai ottenebrata: la prigione».
Accanto ai ritratti e alle memorie, il libro raccoglie anche scritti e polemiche apparsi sul quotidiano di Giustizia e Libertà dal ’45 al ’50. Non si può che provare stupore per la loro attualità allorché si segua Mila nel racconto degli effetti della dittatura sugli italiani o piuttosto nella denuncia della «ricostruzione del fascismo amorosamente coltivata da questo governo (il quinto governo De Gasperi, ndr) e per tutti gli aspetti ormai completa nella connivenza di tre ingredienti sostanziali: il grande capitale, l’alta burocrazia e la chiesa».
In queste pagine c’è già la consapevolezza di come la monumentalizzazione del ricordo sia uno dei migliori strumenti di rimozione e allora l’autore sente il bisogno di pensare la scelta antifascista «non commisurando immediatamente il risultato ultimo, la causa finale, quello che sarebbe venuto chissà quando (…), ma cercando la spiegazione di ogni singolo fatto nel fatto precedente, una spiegazione immanente e non finalistica». E non parla forse di noi Mila allorché recensendo le memorie carcerarie di Michele Giua, di cui era stato in quel frangente compagno, ricorda: «il tormento di dover contemplare quotidianamente, ed esperimentare a proprie spese, quello che Goethe definiva il più triste di tutti gli spettacoli per la mente dell’uomo: l’assurdo incarnato»?
Tanto Mila non cede alla retorica monumentale quanto rifiuta ogni tentativo (ad esempio nella polemica con Togliatti) di assoggettare l’arte e la cultura all’impegno direttamente politico e sociale. Se da un lato infatti all’arte bisogna affidarsi per «riparare le devastazioni morali che abbiamo sofferto in questi anni», dall’altro esse devono restare «esclusivamente, liberamente se stesse: intisichiscono quando non sono sorrette da una intensa partecipazione umana agli interessi politici e civili del loro tempo», ma questo deve essere «il punto di partenza, un impulso motore, non uno scopo».
Seguendo i motivi della libertà di pensiero e dell’autonomia dell’arte, si può dire che gli Scritti civili (non tanto per la sezione ‘Musica e Cultura’ ma piuttosto nel loro insieme) sono un’introduzione a tutta l’opera saggistica di Mila. Basterebbe soltanto provare a leggere quella meravigliosa testimonianza che si intitola Umanità di Rosselli. È il racconto di come l’autore, sotto l’auspicio di Ginzburg, si reca a Parigi per incontrare la prima volta i vertici di Giustizia e Libertà: Garosci, Tarchiani, Lussu e in particolare Carlo Rosselli; ma accanto a questi uomini la musica assurge nella storia quasi al ruolo di sesto personaggio. Davanti al sogno di Parigi, Mila abbandona presto il rammarico per non poter conoscere Stravinskij, che a Torino avrebbe diretto la Sinfonia dei Salmi (era l’epoca delle dichiarazioni di ammirazione del compositore verso Mussolini!), ma all’arrivo scopre che Rosselli è all’Opéra ad ascoltare il Boris Godunov con il mitico Šaljapin. «Me n’andai a zonzo per Parigi sfolgorante di luci …»: così comincia la nobile vicenda di uno studioso della musica…


alias 26 novembre 2011

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