17.11.13

Palermo 1969. Le armi di Scudo (S.L.L.)

Il mercato del Capo negli anni Sessanta del Novecento
Dopo la strage del 12 dicembre del 1969 scattò in tutta Italia la caccia all’estremista di sinistra, alimentata dalla stampa padronale e governativa. Benché l’obiettivo principale fosse di mettere un freno alle lotte operaie sviluppatesi nel cosiddetto “autunno caldo”, le questure non osavano attaccare direttamente il Pci o i sindacati e si davano da fare in operazioni di parata contro anarchici, maoisti, trotzkisti ed altri gruppi di estrema sinistra. Anche a Palermo la linea fu del fari scrusciu (fare rumore): irruzioni e perquisizioni in qualche sede o nell’abitazione di singoli militanti in genere senza esito e senza arresti. La più clamorosa di queste azioni riguardò il compagno Scudo.
Scudo al tempo era ultrasessantenne e gli anni non li portava benissimo: era piuttosto curvo e sdentato. Gestiva un piccolissimo commercio nel mercato del Capo: vendeva borse d’acqua calda, termometri, siringhe e bollisiringhe in alluminio. Un semiproletario con redditi da sottoproletario. Aveva però ricevuto in eredità una casetta isolata in una zona di Palermo che oggi è massicciamente e obbrobriosamente cementificata, ma al tempo era ancora mezza campagna. Si trovava dalle parti del Viale delle Scienze, mezzo chilometro più avanti verso quella che è ora la circonvallazione. Non aveva moglie o figli (“mi sono sposato col partito” – soleva dire), viveva con una sorella nubile che lo accudiva con amore e cucinava assai bene. Tuttavia, quando invitava a cena i compagni, il successo più che alle preparazioni della sorella si doveva alla qualità della carne bovina che Scudo acquistava e poi arrostiva a puntino sulla brace. Le sue bistecche erano leggendarie in tutta l’estrema sinistra, specialmente tra i maoisti.
Era stato nel direttivo della sezione del Capo, forse addirittura nella segreteria, e si vantava di essere stato tra i compagni più vicini a Francesco Vella, il capolega edile morto ammazzato dalla polizia (forse non incidentalmente) nelle manifestazioni del luglio 60, cui era dedicata la sezione. Scudo si era staccato dal partito a metà degli anni Sessanta, partecipe del dissenso stalinista e maoista alimentato da cinesi e albanesi; aveva partecipato alla complicata storia di entrismi, gruppuscoli, scissioni, settarismi e rivalità di quel piccolo mondo antico. Tra quei vecchi compagni era certamente quello che più era entrato in sintonia con gli studenti venuti nel Sessantotto: quegli strani ragazzi, di origine borghese e d’abbigliamento trasandato, gli erano simpatici; e lui, che arrivava alle riunioni in completo grigio fumo (vecchissimo, ma ben stirato), scarpe nere di vernice e brillantina nei capelli, piaceva a loro.
La sua citazione preferita era di Stalin, “i comunisti sono fatti di una pasta speciale”, ma dava alla frase un’interpretazione libertaria, un po’ anarcoide. Il comunista era per lui essenzialmente il ribelle, quello che non tollerava l’ingiustizia e contro di essa si rivoltava e organizzava la rivolta delle masse. Nei suoi poetici interventi insisteva molto sul carattere dei comunisti, oscillando tra due posizioni: talora si metteva a parlare dei moti degli astri e delle leggi indefettibili del cosmo, concludendo che non si era rivoluzionari per scelta, ma per natura, per le stesse ragioni per cui la terra gira intorno al sole; altre volte dava più importanza all’educazione familiare: “io ho succhiato comunismo nel latte della mia mamma”.
In quel dicembre delle bombe, dunque, la questura decise una prova di forza contro Scudo. La polizia, non ancora smilitarizzata, seguendo le migliori tradizioni, arrivò nella casetta in piena notte, alle tre. Si diceva che fossero cento, duecento addirittura, in tuta mimetica e pronti a fare fuoco, ma secondo me è un’esagerazione. Più fonti però, anche quelle ufficiose vicine alla Questura, confermavano che le camionette che circondarono l'abitazione di Scudo erano tante, almeno una ventina. La sorella, spaventata dalle minacce, aprì la porta.
Si racconta che si precipitarono a buttare giù dal letto Scudo, il quale indossava una camicia da notte di flanella e portava sul capo una cuffia con il pompon. Sereno, alla richiesta del commissario sulla presenza di armi nella casa, rispose “sì, ne posseggo” e li accompagnò nella stanzetta che fungeva da studio. Ivi, indicando una piccola libreria, che conteneva opere di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Gramsci e Mao Tse Tung, disse: “Ecco le mie armi”.
I poliziotti però non si accontentarono: misero sottosopra la casa, la cantina e i ripostigli. Nient’altro avendo trovato, se ne andarono portando seco un mucchio di opuscoli, giornaletti e volantini. Scudo li accommiatò con una esortazione: “Leggeteli, che vi farà bene”.
Due giorni dopo il “Sicilia” dava conto della “brillante operazione”, parlava di “documenti compromettenti” sequestrati in un covo maoista.   

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