26.12.13

Al di là della satira. Carlo Porta poeta-romanziere (Giovanni Raboni)

Quasi quarant’anni fa, appena uscite nella prestigiosa collana I Meridiani le Poesie del Porta a cura di Dante Isella, Giovanni Raboni dettò per il neonato "Tuttolibri" de “La Stampa” la recensione che segue, giusto plauso alle fatiche del traduttore e filologo “portista”, con acutissime notazioni sulla poesia dello charmant Carline. (S.L.L.)


Devo dirlo: non ho mai dubitato della grandezza di Carlo Porta. Non si tratta di preveggenza critica, ma di una situazione di privilegio specifico:  del fatto, cioè, che essendo nato a Milano da genitori milanesi non ho mai avuto difficoltà a intenderne il dialetto. In linea generale, resta invece verissimo quanto osserva Dante Isella nell'introduzione alla sua più recente, e davvero decisiva, fatica di studioso e garante della poesia portiana: «Il capitolo dedicato a Carlo Porta dalle nostre storie letterarie... aveva quasi sempre fino a ieri un po' il taglio e il tono del capitolo "stravagant"...»: mentre, secondo Isella, il suo posto è « in compagnia del Parini e del Manzoni » nell'ambito di quella cultura lombarda che attuò, tra la fine del Settecento e i primi vent'anni dell'Ottocento, « il più profondo moto di rinnovamento della cultura, dell'arte e, prima ancora, della vita morale italiana»; e accanto al Manzoni e al Leopardi « frattura del romanticismo europeo ».
Nel tener lontano il Porta dallo status che senza il minimo dubbio gli compete, l'ostacolo del dialetto ha funzionato in almeno due sensi: da un lato, rendendo difficile o impossibile ai lettori non milanesi una compiuta assimilazione dei valori semantici e stilistici dei testi portiani; dall'altro, agendo (magari a livello inconscio) come discriminante di genere o addirittura di categoria, secondo il vecchio pregiudizio contro il quale lo stesso Porta, rispondendo a un articolo pedante e altezzoso di Pietro Giordani, scagliava nel 1816 le tremende, esilaranti frecciate dei suoi Dodes sonitt all'Abaa Don Giavan.
Ma torniamo al nostro poeta, torniamo, anzi, al suo curatore princeps, per dire che con questo splendido volume Isella ha aggiunto ai suoi molti meriti di critico e di filologo quello di aver corredato ogni testo portiano di una limpidissima traduzione in prosa italiana: una traduzione ch'egli definisce, con modestia, «puramente servile», ma che proprio da questa precisione e limitatezza d'intenti ricava le virtù di un'incantevole trasparenza.
Disponiamo insomma, finalmente, di un Porta accessibile al più grande numero di lettori, oltre che di un Porta davvero completo e presumibilmente ne varietur, data l'aggiunta al corpus delle Poesie di quell'aurorale Lava piatt del Meneghin ch'è mort che, ignoto sino a pochi anni fa, lo stesso Isella ha scoperto e pubblicato, e considerata la qualità del testo, del commento e degli apparati. Ed è certo questa, che felicemente coincide con il secondo centenario della nascita del poeta, l'occasione migliore, e il migliore strumento, per il suo definitivo «lancio» fra i massimi nomi della letteratura italiana ed europea dell'Ottocento.
A questo proposito, una precisazione, o meglio una proposta. Verissimo che il Porta merita il figurare con il Parini e il Manzoni fra i protagonisti della cultura lombarda nella straordinaria pienezza del suo trapasso, anzi della sua trasfusione fra istanze illuministiche e fermenti romantici. Verissimo che il Porta, e solo il Porta, è degno di essere incluso, accanto allo stesso Manzoni e al
Leopardi, nell'unica « triade » accettabile che si possa escogitare nel campo della letteratura italiana moderna. Ma è anche vero, a mio avviso, che non si rende completa giustizia alla grandiosità e complessità del suo mondo espressivo e del suo sapere umano se non lo si accosta, secondo un'ottica spregiudicatamente anticipatrice, anche ai Balzac, ai Dickens, insomma agli eccelsi rappresentanti del romanzo realista borghese — di quel romanzo che l'Italia non ha avuto e che pure, nell'ampia, pietosa, terribile orchestrazione della sua fantasia sociale, l'autore del Marchionn e del Giovannin Bongee ha potentemente prefigurato.

Poeta-romanziere se mai ve ne furono (e questo spiega una volta di più, da un diverso punto di vista, la lunga diffidenza oppostagli dalla critica ufficiale, ancorata al privilegiamento idealistico-crociano della poesia lirica), il Porta è andato ben al di là dei limiti della satira civile, nel senso di una rappresentazione totale della commedia umana nella quale signori e paria, persecutori e vittime appaiono coinvolti e trascinati (pur restando chiarissimo, sempre, da che parte si sente e vuol essere il poeta) nella spirale di un unico, comicissimo, sconvolgente party sado-masochistico, vasto e gremito come un giudizio universale.

"Tuttolibri - La Stampa", Anno I, n.1, sabato 1° Novembre 1975

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