11.12.13

Arthur Miller, il genio che non sopportava d’essere Mr Monroe (Ranieri Polese)

Ancora ventisei anni dopo la sua morte, Arthur Miller non amava parlare in pubblico di Marilyn. Se lo ricordano i tantissimi intervenuti, a Milano, nello Spazio Krizia dove il 19 aprile 1988 il celebre drammaturgo presentava Timebends-Svolte, la sua autobiografia appena tradotta da Mondadori. Già all’ingresso veniva notificato ai presenti, uno per uno, il desiderio di Mr Miller di non ricevere domande su Mrs Monroe. E così fu. Eppure, nel libro, non sono poche le pagine in cui la bionda divina occupa la scena. E, rispetto all’acida commedia Dopo la caduta rappresentata già nel ’64 (Marilyn era morta nell’agosto del ’ 62), sono pagine tutto sommato affettuose, in cui le ferite - di Miller - sembrano in parte rimarginate.
Si erano sposati nel ’56. Marilyn aveva da poco interpretato Quando la moglie è in vacanza, il film di Billy Wilder che mandò in frantumi il suo matrimonio con il campione di baseball Joe Di Maggio; Miller aveva finalmente ottenuto il divorzio dalla prima moglie, la compagna di liceo Mary Grace Slattery sposata nel 1940 e con cui aveva avuto due figli. Da tempo, fra Il Grande Cervello Americano e Il Grande Corpo Americano (la definizione è di Norman Mailer) si consumavano incontri clandestini. Poi, proprio quando la Commissione per le attività antiamericane voluta dal senatore McCarthy convocava a deporre l’autore del Crogiuolo, ci furono le nozze. Fu un’unione difficile, burrascosa, tormentata. Miller, fra l’altro, lamentava che in tutto quel periodo non riuscì a scrivere niente. A eccezione della sceneggiatura di The misfits - Gli sbandati, l’ultimo film di Marilyn (e di Clark Gable, 1961, regia di John Huston).
Sono quelli, comunque, gli anni delle migliori interpretazioni di Marilyn: Fermata d’autobus e A qualcuno piace caldo. Ma anche di Facciamo l’amore, il tragico gioco degli equivoci che vede la Monroe perdere la testa per Yves Montand, mentre Miller e Simone Signoret fanno da comprimari. Marilyn vuole un bambino da Miller, a un certo punto rimane incinta, ma non porterà in fondo la gravidanza. Miller, fuori di sé, accuserà Billy Wilder di aver provocato l’aborto con i maltrattamenti inflitti alla moglie durante A qualcuno piace caldo. Il resto di quei pochi anni (il divorzio è nel ’61) è interamente occupato dalle crisi di lei, i suoi troppi farmaci, le sue insicurezze, la dipendenza nevrotica da Lee e Paula Strasberg, gli insegnanti dell’Actors Studio.
Il matrimonio successivo con l’austriaca Inge Morath, una fotografa dell’Agenzia Magnum, fu una sorta di quiete dopo la tempesta. Una quiete di lunga durata, chiusa solo - nel 2002 - con la morte della signora, da cui Miller ha avuto due figli, un maschio afflitto dalla sindrome di Down, e Rebecca, che ha sposato l’attore Daniel Day-Lewis. Con la Morath, Arthur compie viaggi nel mondo, in Russia e in Cina, che si tradurranno in libri-reportage. Da qualche tempo, nuovamente vedovo, aveva trovato una nuova compagna, Agnes Barley, una giovane pittrice. Però lo spettro di Marilyn non era mai riuscito a esorcizzarlo. Tanto che, nella sua ultima commedia, Finishing the Picture (rappresentata a Chicago nell’autunno scorso) c’è ancora lei […]
Secondo Norman Mailer, uno come Miller non poteva sopportare di essere messo in secondo piano dalla moglie. Forse, dice ancora Mailer, Miller ha veramente cercato di dare un aiuto a quella ragazza troppo bella e troppo disperata. Ma, forse, non le perdonava di avere un’immagine troppo più grande della sua. Che continuava a perseguitarlo. Nel 1966, per esempio, come presidente del Pen International Miller, scrisse per chiedere la grazia per lo scrittore nigeriano Wole Soynka, condannato a morte. Il presidente della Nigeria, Gowon, gli rispose chiedendogli se era proprio lui il Miller che aveva sposato Marilyn Monroe. Avuta la risposta affermativa, Gowon graziò Soynka.


“Corriere della Sera” 12/2/2005

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