11.12.13

Barbara Stanwyck secondo Frank Capra.

Riprendo alcuni brani dell'autobiografia del celebre regista di origine siciliana Frank Capra, Il nome sopra il titolo (Lucarini Editore) uscita qualche mese fa in libreria. L'episodio si riferisce alla 'scoperta' dell'attrice nel 1930. (S.L.L.)
La locandina "Femmine di lusso" (1930), il primo film di Frank Capra con Barbara  Stanwick

Avevo già messo insieme un bel cast per Femmine di lusso, Ralph Graves, Marie Prevost, Lowell Sherman, George Fawcett, e la star teatrale Nance O'Neill. Adesso avevamo bisogno della protagonista, di un'attrice che facesse la parte della «mondana». Io volevo una certa attrice, ma Cohn non si decideva a chiarmarla. Mi chiese di parlare con un'ex ballerina diventata famosa sul palcoscenico recitando in un lavoro intitolato Burlesque. Sentiva che c'era qualcosa in lei. Io ero seccato. Avevo già in mente una ragazza. Tuttavia, rispettando le intuizioni di Cohn, chiesi a Barbara Stanwyck di venire per un colloquio.
Arrivò in ufficio un po' seccata, vestita semplicemente e senza trucco. Odiando chiaramente l'idea del colloquio, si sedette sull'orlo della sedia e rispose alle mie domande a monosillabi. Già non la volevo prima che venisse, dopo averla vista ne fui più che certo. Circa trenta secondi dopo le solite domande inutili: «In quali spettacoli ha recitato?»... «Ha fatto qualche film?»... «Vorrebbe fare un provino?», saltò in piedi, esclamò: - All'inferno, è chiaro che non le importa niente di me - e corse via.
Telefonai a Cohn. - Harry, scordati la Stanwyck. Non è un'attrice, è un porcospino.
Mezz'ora dopo Frank Fay, il marito, un ironico attore comico, era al telefono.
- Ascolta, che cosa diavolo hai fatto a mia moglie?
- Cosa le ho fatto? Non sono neanche riuscito a parlare con lei.
- Beh, è venuta a casa piangendo sconvolta. Nessuno si può permettere di trattare così mia moglie.
- Senti buffone. Non me ne frega niente né di te, né di tua moglie. È arrivata qui incazzata, e se ne è andata furiosa.
- Frank, è giovane e timida, e l'hanno trattata male qui. Lascia che ti mostri un provino che ha fatto alla Warner.
- Un provino?
- Sì, una scena tratta da The Noose, Dura circa tre minuti. Devi vederlo prima di scaricarla. Arrivò lì subito a portartelo...
Venne proiettato il provino. Niente al mondo sarebbe riuscito a farmelo piacere. Ma trenta secondi dopo ero lì con un groppo in gola grosso come un uovo. Implorava il governatore affinché concedesse la grazia al marito condannato. Non avevo mai visto né sentito un accento di sincerità così emozionante. Alla fine avevo le lacrime agli occhi. Ero stupefatto.
- Aspettami in ufficio, - dissi a Fay e corsi da Cohn.
- Harry! Harry! Dobbiamo dare la parte alla Stanwyck.
- Ma sei scemo? Mezz'ora fa mi hai detto che è un disastro.
- Sì, sì, ma ho appena visto un suo provino. Sarà fantastica. Frank Fay è nel mio ufficio. Falle subito il contratto. Non lasciartela scappare...
Iniziò così il mio lungo sodalizio personale e professionale con Barbara Stanwyck. Sotto quella timidezza un po' tetra, covava il fuoco emozionale di una giovane Duse o di una Bernhardt. Ingenua, semplice, senza nessuna preoccupazione per il trucco, gli abiti, le pettinature, questa ballerina di fila poteva prenderti il cuore e fartelo a pezzi. Non sapeva nulla dei trucchi della macchina da presa: come «mortificare» la figura per mettere in risalto il viso, come controllare i movimenti del corpo nei primi piani. Si limitava ad apparire e allora sul set non esisteva nient'altro che lei.
Eppure mi accorsi ben presto di un inconveniente tecnico gravissimo, che ci lasciò tutti stupefatti: la Stanwyck dava tutta se stessa la prima volta che entrava in scena, fossero anche prove o campi lunghi che servivano solo ad orientare il pubblico geograficamente. Tutte le ripetizioni successive erano solo pallide copie della performance originale.
Questo era un fatto nuovo: una nuova sfida, e non solo per me, ma anche per gli attori e la troupe. Dovevo far provare gli altri senza di lei, studiare i movimenti di scena senza di lei.
Anche la troupe aveva dei problemi. Mi toccava girare il «cuore» della scena - i primi piani di Barbara - prima, e con diverse macchine da presa, in modo che lei potesse recitare una sola volta. Questo aumentava le difficoltà delle luci e delle incisioni in progressione geometrica; ad esempio con due macchine da presa tutto diventava quattro volte più complesso, con tre, otto volte e così via.
Sul set non lasciavo che la Stanwyck pronunciasse una sola parola finché non si incominciava a girare. E prima andavo a parlarle nel suo camerino, le spiegavo il significato della scena, i momenti di enfasi, le pause. La sua parrucchiera Helen era diventata sua confidente. Lasciavo che fosse Helen a darle la battuta iniziale degli altri attori. Le parlavo sommessamente, perché non volevo far divampare quel fuoco lento che si intravedeva sotto la sua silenziosa malinconia. Lei si ricordava di ogni parola che le dicevo - e non sbagliò mai una battuta. La mia ultima raccomandazione era solitamente questa: - Ricordati, Barbara. Non importa quello che fanno gli altri, se si fermano o sbagliano tu continua la tua scena fino alla fine. Hai capito? Brava.
È vero che i registi spesso si innamorano delle protagoniste dei loro film — o per lo meno questo succede mentre stanno facendo un film insieme. Vengono a conoscersi così intimamente - a volte più di molte coppie sposate - e la loro relazione è così intensa, così ricca di creatività, che facilmente può sfociare nel tipico legame Pigmalione-Galatea; o, come capita a volte, può scivolare nell'ipnotico sodalizio di Svengali e Trilby. Mi innamorai della Stanwyck, e se non avessi amato Lucilie Reyburn ancora di più, avrei chiesto a Barbara di sposarmi dopo che lei e Frank Fay si separarono.

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